Calma apparente
Tripoli, dopo le rivolte di venerdì, sembra concedersi un sabato di tregua. Alcuni sostengono che l'apparente fase di stallo sia dovuta all'attesa per la trattativa condotta da Saif al-Islam Gheddafi, figlio del colonnello, con i generali e i membri del governo passati con gli oppositori. Altri attribuiscono il silenzio alla disorganizzazione dei rivoltosi, i quali sono fuori Tripoli ma non sanno come scagliare l'offensiva finale contro Muammar Gheddafi. In realtà, gli spari a Tripoli arrivano in serata. Il silenzio viene rotto da numerosi colpi di arma da fuoco. Subito dopo si sentono le sirene e auto in fuga che suonano il clacson. Mentre lui, il Raìs, rimane asserragliato nella sua fortezza-bunker di Tripoli, l'ex ministro della giustizia Mustafa Abdeljalil annuncia al quotidiano indipendente Quryna di essere impegnato nella formazione di un nuovo governo ad interim che avrà la sua sede a Bengasi. La capitale della Libia - assicura - resterà Tripoli, il Paese dovrà restare unito e non ci sarà alcuna resa dei conti. Il clan Gaddafa del leader libico Muammar Gheddafi «è perdonato», ma «lui solo è responsabile per i crimini commessi nel suo paese». Già. I crimini. La situazione non è affatto tranquilla. A Sabrata, città a ovest di Tripoli, un battaglione fedele al Raìs avrebbe aperto il fuoco sui manifestanti, ferendone diverse decine. A Misurata, terza città della Libia, dove i ribelli hanno conquistato l'areoporto, alcuni «mercenari» al soldo del regime del colonnello, trasportati in elicottero sul posto, avrebbero sparato sui ribelli che stavano andando ai funerali delle vittime dei combattimenti di venerdì. Altri scontri ci sono stati ad Al Zawya, 30 chilometri a ovest di Tripoli, dove le forze di sicurezza hanno attaccato gli insorti aprendo il fuoco, mentre a Bengasi sono 1.200 i feriti ricoverati nel principale ospedale, Al Jala, e altri 460 in altre strutture. Che la situazione libica non sia affatto «tranquilla», come si affannano a sostenere i sostenitori del Raìs, lo ammette anche Saif Al Islam Gheddafi: «Ciò che sta accadendo in Libia apre la porta a tutte le opzioni - ha spiegato in una intervista alla tv Al Arabiya - e ora cominciano ad intravedersi segnali di guerra civile». La situazione, insomma, si complica. Secondo Saif nei tre quarti del paese «la situazione è normale, anzi eccellente», ma tra la gente c'è «un'autentica volontà di cambiamento». Il figlio "riformista" del Raìs sostiene che ormai «non è la famiglia Gheddafi a governare nel paese» e che per quanto riguarda gli scontri di Bengasi, «molti rivoltosi sono caduti non perché il governo ha ordinato di sparare ma perché si sono scontrati tra loro». Continua poi l'allarme Al Qaeda: «In Libia - spiega Saif ad Al Arabiya - sta avvenendo come è avvenuto in Libano, quando Jaish al Islam, il gruppo vicino ad Al Qaeda, ha scatenato una guerra con l'esercito. Ci sono forze straniere dietro le manifestazioni contro il regime», denuncia. E mentre Saif cerca di tranquillizzare l'opinione pubblica mondiale sulla situazione libica, è il quotidiano spagnolo El Pais a lanciare un nuovo allarme: Gheddafi sarebbe in possesso di almeno 10 tonnellate di gas di tipo "iprite" e di altre armi di distruzioni di massa di cui il rais avrebbe dovuto disfarsi entro il prossimo 15 maggio, secondo accordi presi con la Ue. La tensione cresce.