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Gheddafi non è più amico dell'Italia

Il ministro Ignazio La Russa

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«Di fatto, il Trattato tra Italia e Libia non c'è più, è inoperante, è già sospeso». Lo strappo è consumato. E le poche parole pronunciate dal ministro della Difesa Ignazio La Russa a Livorno lo sanciscono in maniera inequivocabile. Sembra lontano anni luce il 30 agosto del 2008 quando, a Bengasi, il premier Silvio Berlusconi e il Raìs Muammar Gheddafi siglarono l'intesa che metteva la parola fine al contenzioso sul passato coloniale italiano. Oggi Bengasi è in mano ai ribelli, mentre il leader libico vive asserragliato nella caserma-bunker di Bab Al Aziziya. Nel Paese è esplosa la violenza e la comunità internazionale, dopo un primo momento di titubanza, ha scelto la «linea dura». E se nei giorni scorsi erano stati il presidente americano Barack Obama e il primo ministro inglese David Cameron a telefonare al Cavaliere per concordare una strategia comune, ieri è stata la volta del segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon che ha chiesto l'appoggio e un ruolo attivo dell'Italia per le azioni decisive da intraprendere. Immediata la risposta del presidente del Consiglio che ha ribadito l'impegno del nostro Paese «a cooperare in tutti i fori multilaterali per una soluzione rapida e pacifica della crisi» (domani il titolare della Farnesina Franco Frattini ne parlerà a Ginevra con il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ndr). Dopotutto Berlusconi aveva già chiarito in mattinata, parlando davanti al congresso dei Repubblicani, il suo pensiero sugli ultimi sviluppi della crisi libica: «Sembra che effettivamente Gheddafi non controlli più la situazione in Libia. Ora la priorità è mettere fine al bagno di sangue e sostenere il popolo libico». E se dubbi restano, riguardano il dopo-Gheddafi: «Quei popoli potrebbero avvicinarsi alla democrazia, ma potremmo anche trovarci di fronte a centri pericolosi di integralismo islamico». Quel che è certo che attualmente, anche se La Russa prova a contenere il peso della sue parole presentandole come una situazione «di fatto» per «mancanza della controparte», è che il trattato del 2008 non ha più alcuna efficacia. E questo è sicuramente un forte segnale della «rottura» in atto tra Libia e Italia. Dopotutto l'articolo 4 dell'intesa impegnava il governo italiano a non concedere basi dislocate sul territorio nazionale per «atti ostili» contro la Libia. Eventualità per ora improbabile ma non certo impossibile. A preoccupare l'esecutivo, però, è soprattutto l'«esodo biblico» che dovrebbe arrivare dalle coste del Nordafrica. «Vanno bene le sanzioni, va bene la condanna - spiega La Russa -, ma poi l'Europa si deve fare carico anche dell'emergenza. Non si può immaginare che con una sorta di egoismo l'Europa del Nord lasci sola l'Europa del Sud, in questo caso l'Italia, nell'affrontare la questione dei profughi libici». Nel frattempo parte dell'opposizione esulta per la sospensione del Trattato di amicizia con la Libia. «La storia ci ha dato ragione - afferma il portavoce dell'Idv Leoluca Orlando -. Solo poche settimane fa il Parlamento italiano aveva approvato il Trattato di amicizia fra l'Italia e la Libia, fortemente voluto dal governo Berlusconi, con i soli nostri voti contrari insieme a quelli dell'Udc e dei Radicali. Non ci voleva un genio per capire che con un dittatore sanguinario come Gheddafi non si possono sottoscrivere accordi». E Pier Ferdinando Casini va oltre: non basta una semplice sospensione «bisogna immediatamente abrogare il trattato-vergogna con la Libia che non avrebbe mai dovuto essere approvato dal Parlamento».

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