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Contrordine compagni di parte

Libia, carri armati dell'esercito

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La nostra sinistra, si fa per dire, ha ereditato dalla lunga presenza ed egemonia dei comunisti anche il famoso "contrordine, compagni". Che bastava ed avanzava allora, come basta e avanza adesso, a rovesciare linea e direttive. Secondo le convenienze del momento. Convenienze non generali, cioè del Paese, ma di parte, rigorosamente di parte. Per mesi e mesi essa ha praticato l'allarmismo accusando il governo di nascondere o minimizzare la crisi finanziaria ed economica importata da oltre Oceano, e reclamando il solito ricorso alle tasse per cercare di venirne fuori prima e meglio. Ora è minimalista accusando il governo di sopravvalutare gli effetti sociali ed economici, in Italia, della tragedia libica e degli altri sommovimenti africani. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni, peraltro corteggiato sino all'altro ieri al pari del ministro dell'Economia Giulio Tremonti per operazioni contro il presidente del Consiglio, è diventato un visionario non appena ha indicato il rischio di una massiccia ripresa degli sbarchi di immigrati ed ha proposto alle opposizioni una gestione unitaria della crisi. Se c'è da assumersi una responsabilità concreta, la nostra sinistra scappa come una lepre, ovunque e sempre. Anche quando dalle parole in difesa della libertà e della democrazia dove esse mancano o sono minacciate si deve o solo si rischia di dover passare ai fatti, la lepre continua a scappare. Sul sacrosanto diritto dei libici di essere aiutati a liberarsi da Gheddafi, ora che hanno trovato il coraggio di rivoltarsi e di sfidarne le sanguinose rappresaglie, la sinistra italiana ha vacillato non appena ha avvertito il sentore di qualche impiego della forza da parte dell'Occidente. È come ai tempi della prima guerra a Saddam Hussein, dopo l'invasione dell'inerme Kwait, quando i dirigenti del Pds-ex Pci scoprirono la bellezza delle preghiere e si precipitarono sotto le finestre del Papa, in Piazza San Pietro, infilando attorno al collo festosamente gambe e braccia dei loro bambini. A Gheddafi si deve rifiutare la mano, il bacio all'anello giustamente rimproverato al nostro Cavaliere, ma guai a cercare di dare davvero la spallata finale prima che gliel'abbiano inferta i libici al prezzo orribile di altro sangue. Brava a deridere il realismo degli altri, la nostra sinistra è bravissima a praticare il suo. Brava a rifiutare la prudenza degli altri, la nostra sinistra è bravissima a imporre la sua. D'altronde, proprio a Gheddafi solo qualche giorno fa, in chilometriche e altezzose interviste giustamente deplorate da Marco Pannella, mentre si irrideva alla prima e infelice ritrosia telefonica di Silvio Berlusconi, che temeva di "disturbare", quel sapientone della sinistra che è Massimo D'Alema, avvolto nel suo passato di presidente del Consiglio e di ministro degli Esteri, e nel suo presente di presidente del "Comitato parlamentare - si chiama così - per la sicurezza della Repubblica", chiedeva non di andarsene via dal bunker in cui si era già rinchiuso a Tripoli, bensì di promuovere chissà quale processo riformatore. Sognava evidentemente qualche commissione bicamerale da cucirgli addosso. Ma torniamo agli effetti della tragedia libica sulla situazione sociale ed economica dell'Italia avvertiti dal ministro dell'Interno, ma anche dal ministro dell'Economia e ieri pure dal governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, tra l'indifferenza prima e le proteste poi della nostra sinistra. Stupisce, anzi spiace, che in questo frangente essa abbia trovato una sponda nel presidente della Repubblica. Le cui parole, pronunciate peraltro durante una visita ufficiale in Germania, contro i presunti "allarmismi" e "vittimismi" di Maroni e amici sono risultati provvidenziali non solo alle polemiche e alle esigenze tattiche del maggiore partito d'opposizione in Italia, ma anche al sostanziale rifiuto delle autorità e degli uffici dell'Unione Europea di considerare davvero comunitari, e non solo italiani, i confini meridionali esposti ai nuovi, prevedibili arrivi di profughi. Di questa Unione Europea così prodiga di richiami e severa nei controlli del nostro debito pubblico, senza tenere ancora conto di un debito privato largamente inferiore a quello esistente altrove; così minuziosa e puntuale nel fissare la circonferenza e la lunghezza dei cetrioli o delle carote vendibili nei nostri mercati, ma così refrattaria a sporcarsi le mani, e qualcosa d'altro, in una gestione comune dell'immigrazione che approda sulle nostre coste solo perché sono le più vicine a quelle dalle quali proviene chi fugge dalla paura e dalla miseria; di questa Unione c'è poco da essere francamente soddisfatti. E tanto meno orgogliosi. La sinistra può compiacersene, al solito, per i torti o gli inconvenienti ai quali è esposto il governo guidato da Berlusconi, ma dimentica, sempre al solito, che anch'essa ne subirebbe i danni se mai le capitasse, in pantaloni o in gonna, comunque a dispetto del suo penoso stato di salute politica, di tornare alla guida del Paese.

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