Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Martino: "È una carneficina Si muova la Nato"

Antonio Martino, ex ministro della Difesa

  • a
  • a
  • a

«Quella in Libia è la classica situazione nella quale dovrebbe intervenire la Nato». Scandisce le parole Antonio Martino. A lui è rimasta la voglia di ragionare, anche fuori dagli schemi. E soprattutto il gusto di dire la sua, senza dover stare per forza a mediare, a trovare la formula migliore del linguaggio diplomatico. No, Martino non è così. Non lo è mai stato. Tessera numero due di Forza Italia, è stato prima ministro degli Esteri (incarico che fu anche del padre Gaetano, colui che firmò i Trattati di Roma che diedero vita all'Europa unita) e poi ministro della Difesa. Soprattutto non ha paura di prendere posizioni dissonanti con il suo partito o con il suo gruppo se lo ritiene necessario, di riprendere qualche ministro. Lo aveva già fatto proprio sulla Libia quando in Parlamento si è discusso del trattato finito oggi al centro delle polemiche. Onorevole, il governo non sembra muoversi nella direzione di richiedere un intervento internazionale. Se non per quanto riguarda l'emergenza immigrazione. «Secondo me invece è questa la classica situazione nella quale bisognerebbe richiere l'intervento della Nato. Forse anche delle Nazioni Unite. Comunque, non giriamo troppo attorno alle cose. Quello che sta accadendo in Libia è una tragedia umana. E non possiamo restare troppo a guardare».   Su che basi dovrebbe intervenire l'Alleanza Atlantica? «Sulle stesse identiche basi sulle quali intervenne in Kosovo nel 1999. Era in corso un'operazione militare dell'allora governo serbo contro i kossovari. Si venne a creare una pericolosa situazione di emergenza, con un esodo di massa. La Nato intervenne bombardando la zona per fermare quello che stava assumendo le dimensioni del genocidio. Il centrodestra allora fu a favore dell'intervento deciso dal governo D'Alema». In quel caso ci fu soprattutto una emergenza umanitaria. «E perché oggi come la vuole chiamare? Peggio, una carneficina forse anche più violenta. Migliaia di morti ogni giorno, le fosse comuni. Ma le ha viste le foto? E le immagini? È terribile. Bisogna fermare subito quello che sta accadendo. Subito. Se fossi ministro avrei già chiamato Rasmussen, il segretario della Nato».   Intanto l'Italia non potrebbe avviare un intervento nazionale? «Siamo nell'era del multilateralismo, non sarebbe concepibile. E poi l'Italia no, non potrebbe». Perché? «Per ragioni storiche, abbiamo un passato coloniale proprio nei confronti della Libia. La popolazione locale potrebbe prenderla non come un aiuto ma come una seconda invasione. Finisce che ci sparano addosso».   Non c'è anche il rischio che la Libia finisca in mano al fondamentalismo islamico? «Certo che c'è, e questa è un'altra ragione per intervenire al più presto. Non sempre le rivoluzioni portano a un miglioramento. In Francia si sperava in una maggiore libertà e ci si ritrovò nel terrore. In Russia fecero fuori gli zar e si ritrovarono sotto Stalin. In Iran cacciarono lo Scià e sono governati da Ahmenejad. I grandi mutamenti vanno governati, per questo non si può rimanere con le mani in mano».   Perché esclude l'intervento Onu? «Le Nazioni Unite hanno un sistema decisionale farraginoso, complicato, complesso. Qui non c'è tempo da perdere. Gheddafi sta facendo bombardare il suo popolo, ha assoldato mercenari che vanno a sparare ai civili nelle case. Non ci sono secondi da far trascorrere ancora invano prima che il tutto assuma i contorni della catastrofe».   Se l'Onu è latitante, come definisce gli Usa? «Imbarazzante. Mi sembra che in politica estera l'attuale amministrazione è inadeguata. Stiamo finalmente riscoprendo l'intelligenza superiore di Bush». Addirittura? Intelligenza superiore? «Esatto, intelligenza superiore. Capisco che può suonare strano perché anche lei si è fatto convincere dai soloni della sinistra che lo hanno sempre ridicolizzato in ogni modo». Ma perché lo considera più efficace in politica estera? «Più efficace? Bush aveva capito che la democrazia sarà pure un modello occidentale e non universale ma va incontro a quello che chiedono questi popoli». Nel Mediterraneo è una rivolta per il pane, però. «Sì, ma i cittadini chiedono più possibilità di controllo sui governi, più occasioni di intervento. Insomma: più libertà. Si ricorda quando si andò a votare in Afghanistan e in Iraq per la prima volta dopo anni? Se le ricorda le file di cittadini? Persone che rischiavano la vita visto che i talebani avevano detto che avrebbero ammazzato tutti coloro che fossero andati a votare. E secondo lei perché si prendevano quel rischio enorme pur di esprimere la loro idea? Per la speranza di vivere meglio. Quella è stata la grande vittoria di Bush. Non l'unica». Non l'unica? «Un'altra è stata immaginare che la democrazia fosse un "male contagioso". Averla portata in Iraq ha condotto anche gli iraniani a protestare».   Per Medio Oriente è stato un decennio di fuoco? «Non l'unico, per la verità Un'altra grande intuizione di Bush in politica estera è il fatto di aver sempre immaginato il Medio Oriente non solo chiuso al conflitto israelo-palestinese ma in maniera più ampia». Oggi tutti associano Gheddafi a Berlusconi, prima però tutti lo corteggiavano? «Come no. Prodi, per non parlare di D'Alema che di fatto predispose l'accordo bilaterale tanto discusso. Oggi tutti sembrano non saperne nulla. E poi tutti dimenticano quando quell'intesa arrivò in Parlamento: tutti, o quasi, la votarono».   Tutti? «Quasi tutti. Nel centrodestra prima Fiamma Nierestein e poi io ci siamo astenuti e lo abbiamo spiegato chiaramente. Ho sempre creduto che tutto è negoziabile ma non l'onore dell'Italia; quell'intesa ledeva l'onore dell'Italia, e anche Berlusconi sapeva come la pensavo». E per il Pd? «In gran parte rimasero in silenzio. Tranne i sette Radicali che provarono anche a fare ostruzionismo. Quasi tutti i democratici si espressero a favore. Oggi sento che Casini alza la voce. Fossi in lui andrei a controllare, quando c'era da parlare, che cosa dissero i suoi alla Camera».  

Dai blog