Scaroni: Tripoli facile da rimpiazzare
«Perl'Italia la Libia rappresenta relativamente poco, circa il 10% del gas, siamo alla fine della stagione invernale e in tutta Europa c'é gas in abbondanza». L'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni lancia messaggi rassicuranti sull'impatto che la situazione in Libia può avere per l'approvvigionamento all'Italia anche se la società del Cane a sei zampe ha dimezzato la produzione di gas e petrolio. La produzione è ferma a 120mila barili al giorno, rispetto ai normali 280mila barili. L'ad ricorda che è stato «ampliato il flusso dai gasdotti dall'Algeria e dalla Russia» e questo fa sì che «non ci saranno problemi nè nel breve nè nel lungo termine». Quanto al prezzo del petrolio, «nessuno poteva immaginare che potesse toccare 120 dollari così velocemente». Secondo Scaroni, «l'incertezza nella regione è stato il grilletto che ha fatto partire la speculazione». A questo si è aggiunto che «a seguito della rivolta sul mercato ci sono 1,2 milioni di barili in meno, che non è tanto, ma qualcosa». Ma qualora la situazione si dovesse tranquillizzare, «il petrolio potrebbe tornare sotto i 100 dollari al barile». Poi Scaroni ha delineato lo scenario dei dipendenti in Libia. In territorio libico, rimangono ancora, «per loro scelta», 34 espatriati «che stanno gestendo le attività». Non così gli altri dipendenti locali: «una delle ragioni per cui abbiamo ridotto la produzione e messo in sicurezza i campi è perchè i nostri addetti libici sono tornati a casa dalle loro famiglie. E senza di loro è difficile rimettere in funzione gli impianti». Secondo Scaroni, al momento «è difficile immaginare quando tutto questo potrà tornare alla normalità», ma in generale, anche di fronte al rischio di un ulteriore contagio all'Algeria, si può «guardare al futuro con una certa tranquillità». Al di là dei toni rassicuranti di Scaroni, le incognite della situazione libica difficilmente non incideranno sul piano industriale che sarà presentato il prossimo 10 marzo a Londra insieme ai conti del gruppo. Scaroni ha ricordato che il piano industriale del gruppo è basato sulla stima per il petrolio di un prezzo a 70 dollari. Ieri il Brent ha sfiorato i 120 dollari e se il trend rialzista dovesse continuare si imporrebbe una riflessione da parte del gruppo petrolifero. Nel preconsuntivo 2010 presentato il 16 febbraio, quindi prima che esplodesse la crisi libica, si dice che «l'outlook 2011 si presenta ancora caratterizzato da incertezza e volatilità anche se in un quadro di progressivo rafforzamento dell'attività economica globale. Le quotazioni del petrolio sono attese in un trend solido sostenuto da una certa ripresa della domanda». Quindi era indicato che «per le finalità di pianificazione degli investimenti e di proiezioni economico-finanziaria Eni assume un prezzo medio annuo del marker Brent di 70 dollari al barile». Sempre nel preconsuntivo si legge che «è prevista proseguire l'attuale fase depressa del mercato europeo del gas dove la contenuta dinamica della domanda non è in grado di assorbire l'eccesso di offerta esistente». Quanto alla produzione di idrocarburi nel 2011 è prevista in leggera crescita rispetto al 2010 ma assumendo sempre lo scenario Brent a 70 dollari al barile. Questo lo scenario delineato prima che esplodesse la rivolta contro Gheddafi e che ora alla luce dei recenti eventi potrebbe essere rivisto o quantomeno suscettibile di molte incertezze e variabili. L'agenzia Fitch ha già sottolineato che i rating dei quattro grandi gruppi petroliferi tra cui l'Eni, «potrebbero finire sotto pressione se l'instabilità geopolitica della regione dovesse impattare in maniera rilevante sulle operazioni».