La tensione in Libia mette sotto stress le Borse europee
Imercati hanno seguito ora dopo ora l'evolversi della situazione con il colonnello Gheddafi che ha annunciato di voler mantenere anche con la forza il comando del Paese, alimentando l'incertezza degli investitori sulla situazione in Medio oriente. A Piazza Affari, in una giornata penalizzata dal blocco delle contrattazioni per oltre sei ore, l'indice Ftse Mib ha segnato una perdita dell'1,06%, a 21.993 punti, mentre l'All Share ha ceduto lo 0,97%. Quando dopo sei ore di stop le contrattazioni sono ripartite, l'indice è rapidamente precipitato fino a toccare un minimo del -1,8%, per poi risalire lentamente. Il momento migliore (-0,4% il Ftse Mib) si è avuto dopo la diffusione dei buoni dati provenienti dagli Stati Uniti sulla fiducia dei consumatori, poi il peggioramento finale. Scambi per 2,5 miliardi di euro in sole due ore di contrattazioni. I titoli più penalizzati sono quelli delle società maggiormente esposte con la Libia. Eni, che ha dovuto sospendere alcune attività e interrompere il flusso del gasdotto Greenstream, per mettere in sicurezza le proprie strutture, è riuscita a limitare i danni con una flessione dello 0,86% mentre a soffrire sono stati i titoli delle società di costruzioni. Impregilo che nel Paese di Gheddafi ha contratti per le infrastrutture del valore di circa un miliardo di euro, ha perso il 2,08% a 2,26 euro. Giù anche Saipem (-1,86%), mentre ha tenuto Edison (-0,17%), che ha annunciato di riuscire a sopperire con la diversificazione delle forniture eventuali difficoltà di approvvigionamento di gas annunciate da Eni. Male Unicredit, il cui socio libico detiene il 7,6% del capitale, che ha perso l'1,82%. Non è andata meglio Finmeccanica, che ha ceduto l'1,35%. La peggiore performance è stata messa a segno da Ansaldo Sts (-2,44%), principale partner delle ferrovie libiche nella realizzazione della nuova rete ferroviaria nazionale. Le vendite hanno colpito anche titoli non legati strettamente alle vicende libiche ma che hanno comunque risentito del mood negativo. Hanno segnato il passo soprattutto Geox (-2,89%), Banco Popolare (-2,58%), Unipol (-2,53%) e Generali (-2,22%) sotto tensione per l'uscita polemica dal cda di Della Valle. Hanno fatto meglio degli indici Fiat (-0,58%) e Bpm (-0,47%), mentre hanno guadagnato terreno Tenaris (+1,22%), Cir (+0,59%) e Lottomatica (+0,39%). In equilibrio Telecom (-0,1%), dopo i risultati di Tim Brasil e Telecom Argentina, questa con l'ultimo trimestre del 2010 migliore delle attese degli analisti. Negative le altre piazze europee: Londra ha perso lo 0,30%, Parigi l'1,15%, Francoforte lo 0,05% e Madrid l'1,00%. Non solo i titoli. Sotto pressione i prezzi petroliferi. Al momento ci sono stati lievi ridimensionamenti delle spinte dopo che da diversi autorevoli membri dell'Opec, tra cui l'Arabia Saudita, sono giunte rassicurazioni sulle forniture. Il cartello degli esportatori è pronto a intervenire se dovessero verificarsi penurie. A Londra dopo aver superato quota 107 dollari, il barile di Brent, che da tempo mostra di risentire maggiormente della situazione internazionale, modera i rialzi a quota 106,29 dollari. Il ministro saudita del petrolio, Ali al-Naimi ha spiegato che Riad è pronta a produrre più petrolio, ma solo se sarà necessario. «Attualmente non c'è alcuna riduzione dei rifornimenti - ha detto - Penso che quella attuale è una situazione condizionata dalla paura, una preoccupazione di breve termine che non avrà effetti di lunga durata». Poi Naimi assicura che questa situazione non ha niente a vedere con il 2008, quando il prezzo del petrolio è schizzato al livello record di 147 dollari al barile. «È una fase molto diversa. Oggi offerta e domanda sono uguali». Il numero due del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), John Lipsky, ha spiegato che l'economia mondiale può sopportare l'aumento dei prezzi del petrolio innescato dalle tensioni medio orientali e dalla crisi libica se questo sarà di breve durata. «È improbabile che cambierà in modo significativo le prospettive economiche mondiali», ha aggiunto. La Libia ha interrotto gran parte dei suoi rifornimenti a causa dei disordini sul suo territorio, anche se si tratta di quantitativi facilmente rimpiazzabili dai paesi produttori. L'Arabia Saudita, che è il principale produttore mondiale di greggio e che garantisce il 10% delle forniture globali, ha già deciso, insieme ad altri Paesi produttori, di sfornare più petrolio di quello stabilito dalle quote Opec. Tuttavia i paesi del cartello hanno anche convenuto di non convocare una riunione straordinaria e quindi il prossimo vertice resta quello in programma per giugno.