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Fini nei Casini Anche Pier lo molla

Gianfranco Fini

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Qualcosa cambia anche per l'Udc. Non sarà un riavvicinamento a Berlusconi. E non sarà neppure una mano tesa. Più facile dire che si tratta di un mutamento. Un mutamento di scenario, come lo definiscono i politologi. S'impone a questo punto anche un conseguente cambio di tattica. Persino per uno «immobile» come Per Ferdinando Casini. Due mesi fa lui e Gianfranco Fini erano tornati ad essere la "coppia più bella del mondo" e viaggiavano a passi svelti verso il terzo polo. Poi, in verità, il presidente della Camera ha scelto deliberatamente di sfracellarsi (in settimana lo lasceranno Patarino e Scalìa, poi più avanti toccherà a Consolo, Ronchi e Cosenza), scegliendo di far svolgere adesso il congresso di Fli facendo emergere tutte le divisioni al suo interno. Ormai è il passato. Adesso si guarda avanti e le strade tra Fini e Casini sembrano destinate a dividersi. Berlusconi accelera sulla Giustizia, si prepara a presentare la riforma sulla quale non c'è un pregiudizievole rifiuto del leader dell'Udc. Tutt'altro. Fu proprio l'ex presidente della Camera per esempio il primo a lanciare l'ipotesi del ritorno all'immunità parlamentare. Poi ha rapidamente chiuso all'ipotesi dalemiana che tanto piace a Fini di una santa alleanza contro il Cavaliere. Pier l'ha liquidata con una battuta: «Sarebbe un santo favore a Berlusconi». E quindi ha aperto all'ipotesi del "riformone": «Ancora oggi si prendono i provvedimenti ad uso e per le finalità di Berlusconi sul tema della giustizia. Ancora oggi, dopo tre anni, si ripresentano i soliti provvedimenti sulla Giustizia che servono solo a Berlusconi e ai suoi processi. Almeno facesse una riforma generale della Giustizia. Sarebbe più dignitoso». Sì, quella è un'apertura. Una finta chiusura. Un modo per riportare il dibattito alla concretezza, da "opposizione responsabile". Ieri è arrivata un'altra apertura mascherata da porta sbattuta. A parlare stavolta non è Casini ma Roberto Rao, capogruppo Udc nella commissione presieduta da Giulia Bongiorno: «Il premier cerca lo scontro. Le sue proposte sono inutili per un sistema più efficiente della Giustizia». Quindi Rao argomenta: «Il sistema giudiziario italiano e gli investimenti stranieri nel nostro Paese - spiega - non sono frenati né dalla Corte Costituzionale, né dall'attuale organizzazione del Csm, né dalle intercettazioni e neanche dalla mancata separazione delle carriere dei magistrati». Infine l'"offerta": «Se per il premier sono queste le priorità su cui intervenire, significa che non vuole riformare la giustizia nell'interesse dei cittadini ma cerca solo - sottolinea Rao - di inasprire lo scontro politico e muovere una offensiva mediatica verso i magistrati. Il premier ha il sacrosanto diritto alla difesa, lo eserciti con tutte le forme consentite dalle leggi, compresi innumerevoli strumenti a sua disposizione per difendersi nei processi, ma non usi - ammonisce l'esponente Udc - il ruolo di capo del governo e della maggioranza per trascinare le istituzioni allo scontro fra poteri». Insomma, se sono le battute del Cavaliere contro i magistrati allora non se ne parla. Ma se Berlusconi fa sul serio e va sul terreno delle proposte concrete l'Udc vuole andare a vedere. Non farà opposizione tanto per farla. E non è poco per il partito che esprime la vicepresidenza del Consiglio superiore della magistratura con Michele Vietti. E il Csm è uno dei nodi centrali del testo che vuole presentare il governo, peraltro prevedendo un depotenziamento dell'attuale istituzione di palazzo dei Marescialli. I centristi vanno avanti con stop and go. Prima mano tesa e poi frenata anche per verificare le reali intenzioni della controparte. Berlusconi risponde allo stesso modo. Sguinzaglia Bondi e Capezzone a riprendere Casini ma sotto traccia lui parla sempre più spesso con il segretario di via Due Macelli, Lorenzo Cesa. E attende adesso una maggiore disponibilità dopo l'incontro avuto con i vertici del Vaticano. In pubblico ammonisce i suoi: fuori l'Udc dalle giunte locali; in privato invece assicura che non ci pensa neppure. E tiene sulla corda i centristi. In Campania sono state messe in piedi manifestazioni per chiedere la cacciata dei cristiano democratici, in Calabria lo stesso: a Crotone è stata azzerata la giunta, tutto in alto mare per la scelta per il Comune di Reggio Calabria. Piccoli segnali anche perché le partite locali si intrecceranno sempre più con quelle nazionali. Ma ormai anche i centristi fanno i conto con lo scenario mutato: per ora Berlusconi non se lo levano di torno. Ragiona un centrista doc: «Prima o poi il Cavaliere uscirà di scena e Fini non sarà credibile con il suo elettorato. Pier sì. Eccome».

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