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Berlusconi incassa e tira dritto

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il premier Silvio Berlusconi

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Nel pieno di una gravissima crisi economica e nel bel mezzo del più grande conflitto tra le istituzioni che si ricordi, c'è un argomento che regna principe nelle conversazioni di Montecitorio. Ed è la prossima legge che la Camera sarà chiamata a dibattere: la legge sugli stadi. Il presidente della Lega calcio, Maurizio Beretta, attraversa il transatlantico. Il pidiellino Amedeo Laboccetta sta parlando del travaglio che ha letto sul volto del quasi ex futurista Andrea Ronchi («Lo capisco, ci sono passato anche io»), e s'avvicina il sottosegretario allo Sport Rocco Crimi: «Scusa, ti posso passare il tuo presidente?». Laboccetta: «Chi? Berlusconi». Crimi: «No, quello del Napoli, De Laurentis». Solo da pochi minuti si è diffusa la notizia della lettera di Giorgio Napolitano e inevitabilmente nella maggioranza si sono vissuti momenti di tensione. Anche perché si era nella pausa pranzo e la seduta del pomeriggio doveva ancora ricominiciare. Al piano nobile invece andava in scena un pauroso scontro in conferenza dei capigruppo. Gianfranco Fini sosteneva di fatto che dopo la lettera di Napolitano si sarebbe dovuto interrompere la discussione. Persino uno come Pier Ferdinando Casini, capogruppo dell'Udc e soprattutto ex presidente dell'aula di Montecitorio,(che ieri ripeteva ai suoi che si andrà a votare solo nel 2013), faceva notare come il decreto è governativo e dunque solo il governo poteva decidere se proseguire o no, mentre il capo dei deputati del Pdl Fabrizio Cicchitto dava a Fini del «golpista». E Berlusconi? Berlusconi non l'ha presa bene. Ma ora deve incassare punto e basta. Il Cavaliere pensa che quella sortita del Quirinale sia «irrituale», «iniziativa singolare», «degna di chi si vuole mettere di traverso». Che arriva per giunta proprio nel momento in cui il Cavaliere si sta riprendendo: Fli è allo sbando e il premier continua ad assicurare ai suoi che «sono in arrivo altri cinque deputati, di cui due direttamente dal Pd». Insomma un intervento che rischia di frenare l'allargamento della maggioranza proprio mentre il capo del governo vede avvicinarsi quota 330 (è a 321 adesso). Ma davanti al Capo dello Stato si limita a dire soltanto: «Capisco, capisco», che suona un po' come l'obbedisco di garibaldiana memoria. Incassa e torna a casa. Ce l'ha un pizzico anche con il ministro dell'Economia che ha voluto forzare il testo. Dentro c'è finita un'autorizzazione alle Poste a comprare una banca, il foglio rosa per i ciclomotori, la riduzione del 10% degli stipendi dei dipendenti della Banca d'Italia, norme in materia di autosufficienza nella produzione di emoderivati da plasma nazionale, l'istituzione della giornata della memoria per le vittime del terremoto di L'Aquila, gli aiuti agli istituti di credito. Sembra una Finanziaria. In un primo momento si era pensato che il governo avrebbe presentato un maxiemendamento che riportasse il decreto al suo testo originario. L'ipotesi resta in piedi: nel caso si dovrà decidere se ripresentare le norme previste in un decreto a parte o in altra forma. Ma in serata il premier era orientato ad approvare il testo così com'è: «Poi sarà il Quirinale a dirci con precisione i punti che ritiene incostituzionali, visto che nella lettera hanno scritto generichamente "aree discutibili"». Stamattina il governo potrebbe anche mettere la fiducia. Comunque sarà, il provvedimento è a rischio decadenza. Scade infatti domenica, quindi deve essere approvato entro dopodomani. Una soluzione intanto c'è. Spiega Lucio Malan che del milleproroghe fu relatore al Senato: «Sono d'accordo con l'ipotesi di un nuovo provvedimento perché è giusto rispettare i rilievi venuti dal Quirinale. Ma bisogna anche dire che il decreto è stata una delle pochissime occasioni per approvare delle proposte del Parlamento e questo lavoro non va buttato via. Sarebbe quindi opportuno che proposte anche importanti che non sono state recepite venissero incluse in un ddl ordinario senza le limitazioni del decreto e della legge di conversione». Il clima nella maggioranza torna sereno alla Camera in serata. Dice Piero Testoni mentre conversa a Montecitorio con Michele Scandroglio: «Quella lettera mi sembra un commissariamento del presidente della Camera. Quel vaglio non è tipico del Quirinale bensì dovrebbe essere del presidente dell'Aula. Ma se Fini avesse fatto quei rilievi sarebbe stato immediatamente tacciato di volersi mettere contro il governo e sarebbe stato difficile persino per il centrosinistra difenderlo anche se avesse avuto ragione nel merito. Questa vicenda ci insegna che qualunque cosa farà è inadeguato in quel ruolo».  

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