Il libro profetico del leader libico
diMAURIZIO PICCIRILLI «Dal punto di vista umano non c'è niente di peggio della tirannia della moltitudine! È come un torrente impetuoso che non ha pietà di chi gli si trova davanti». «Farar ilà gehennam», Fuga dall'inferno, racconto breve e profetico di Muammar Gheddafi. Il racconto è anche il titolo del suo libro di novelle che rivela un Gheddafi nascosto. Uno scrittore intimista che racconta attraverso brevi novelle i pensieri che agitano la sua anima. Racconti che svelano l'altra faccia della sua personalità. Di volta in volta è abitante del deserto, credente, uomo politico, pensatore, riformatore, poeta. E, soprattutto, svela le sue paure. Il leader libico parla del suo mondo interiore e rivela i motivi che lo spingono talvolta a rifugiarsi nel deserto. E proprio in «Fuga dall'inferno» il Condottiero, il Colonnello che mise paura agli Stati Uniti che per primo denunciò la pericolosità di Osama Bin Laden, scrive di un capo che teme le masse che governa. La descrive senza mezzi termini «tirannia collettiva». «Nonostante io ami la comunità come amo mio padre, la temo come temo lui» insiste. Gheddafi cita Annibale, Pericle, Savanarola, Mussolini a Nixon. Tutti eroi un giorno e il giorno dopo immolati da quello stesso popolo che li aveva osannati. «Vi racconterò la storia della mia fuga all'inferno... per poi narrarvi dell'inferno stesso e di come sono tornato», confessa Gheddafi. Il «signore del Mediterraneo», l'ideologo del Libro verde si attarda nel ricordare gli episodi dove le masse hanno oltraggiato i loro capi. «Hanno cospirato contro Annibale e lo hanno avvelenato, hanno bruciato Savonarola sul rogo, hanno mandato il loro eroe Danton alla ghigliottina, hanno fracassato le mascelle di Robespierre, il loro amato oratore, e hanno trascinato nelle strade il cadavere di Mussolini, hanno sputato in faccia e schiaffeggiato Nixon mente lasciava la Casa Bianca dopo che erano state loro a farcelo entrare». «Sento sempre sul collo il fiato di queste folle, che non sono clementi neanche con i loro liberatori» e ancora «mi bruciano, e mentre mi applaudono sento che mi abbandonano». Il leader politico, il nemico, il tiranno Gheddafi lascia così spazio al poeta, all'affabalutore che riempie i fogli bianchi con le sue emozioni. Rivela il suo attaccamento alla terra: «Al Ard», alla sua infanzia beduina. Origini che Muammar Gheddafi non rinnega e delle quali va fiero. E se in «Fuga all'inferno» confessa la sua paura per la folla, nella novella «La Città» descrive l'alienazione della vita cittadina. «La città è la tomba delle relazioni sociali e chi vi entra si smarrisce». Lui «povero beduino», come si definisce, ammette di «aver peccato per essere entrato in città volontariamente». Ma è stata solo una sfida. Una sfida che oggi sembra persa per il beduino che si fece Liberatore.