Nel Pd sono tutte prime donne
Un milione di donne in piazza - così è stato detto - solo pochi giorni fa. Nessuna bandiera di partito. Solo un'unica, condivisa battaglia: recuperare, dopo il ciclone Ruby, la dignità del gentil sesso. Tutte insieme. Nonne e nipoti, belle e brutte, intellettuali e operaie, «suore e puttane». Unite. Sembrava funzionare. Fino a quando non ci si è messo di mezzo ciò che tutto riesce a dividere: il Partito democratico. Puntuale come non mai, arriva infatti la «conferenza delle donne democratiche». Due giorni di dibattito a Roma per rilanciare il rosa della politica, far sentire la propria voce e, perché no, approfittare dell'occasione per mettere un bel cappello «democratico» sulla manifestazione del 13 febbraio. La classica atmosfera da Pd. Interventi dal palco tutti uguali, applausi, sorrisi, attacchi al Cav. Anche lor signori i democratici fanno capolino di tanto in tanto. Pier Luigi Bersani si sofferma per sentir dire a Rosy Bindi che «il candidato a Palazzo Chigi del Pd è il segretario del partito» e che «Si dà il caso che Bersani abbia anche tutte le qualità per guidare questo Paese nell'oltre Berlusconi». Tutto bene, insomma. E invece no. Perché anche se le democratiche non ne parlano, il classico «patatrac» da Pd si è già consumato. Un gruppo di dirigenti del partito di area popolare ha deciso di disertare la Conferenza perché la sua platea è stata selezionata in modo da rappresentare «una parte sola». «Abbiamo lottato per essere una parte vitale, essenziale della vita del Pd e non per assistere alla politica costruita a tavolino, parziale e chiusa nelle logiche dei vecchi manuali. Per questo non saremo presenti alla Conferenza delle donne del Pd», scrivono in un comunicato Tiziana Lagrimino, Daniela Bizzarri, Cinzia Lattanzi, Daniela Tiburzi, Vittoria Pepe, e del Lazio, Stefania Firrincieli, Annalisa Secchi, Vanessa Guerrini, Cinzia Giardini alla vigilia dell'apertura della Conferenza delle Donne del Partito Democratico. «Esprimiamo, con amarezza - spiegano - un netto dissenso che ci impedisce per coerenza e per le lotte portate avanti in questi anni di prendere parte ad un appuntamento politico che è stato costruito a tavolino. Noi crediamo in un'altra politica, e da cattoliche e da democratiche vogliamo poter contribuire a costruire un Pd diverso, aperto, che metta in soffitta i bilancini del potere soprattutto quando sono protagoniste le donne». Anche Serena Visintin, assessore della Provincia di Roma, Francesca Leoncini, coordinatrice del Circolo Talenti, membro dell'Ufficio di Presidenza dell'Assemblea Romana del Pd, Mariella Nocenzi, Giovanna Montanucci, Veronica Chirra, Giulia Stoppani e Samantha Lavigna, componenti dell'Assemblea Romana del Pd non sono presenti alla «festa» delle democratiche. «Le donne - spiegano - non possono essere imprigionate nella burocrazia della politica di retrobottega. Dopo le manifestazioni nelle molte piazze d'Italia, con tanta partecipazione e tanto slancio, si arriva, invece, alla conferenza delle donne del Partito democratico con il misurino degli equilibrismi a fine di potere. A noi non interessa». Non bastavano insomma le «prime donne» a cui già eravamo abituati, i vari Veltroni, D'Alema, Bersani, Franceschini. Adesso anche le democratiche si spaccano. E sempre per questioni di «potere». E pensare che la Bindi, in barba a qualsiasi velleità femminista, per amore del partito, aveva rinunciato alla possibilità di una sua leadership. In realtà, per ricompattare il fronte delle democratiche, basta poco. È sufficiente ricordare a tutte l'origine di tutti i mali: il Cav. Lo fa la deputata Susanna Cenni presentando una singolare interrogazione parlamentare. «Nomine in agricoltura, il governo dimentica le donne», questo il suo messaggio. Applausi.