Le clamorose ovvietà che arrivano dal Colle
Il presidente della Repubblica, intervistato da un giornale tedesco, ha detto alcune ovvietà che possono però sembrare clamorose notizie in questo suo e nostro stranissimo Paese. Egli ha riconosciuto, per esempio, che nel processo con rito immediato richiesto e ottenuto dalla Procura di Milano per i reati addirittura di concussione e uso della prostituzione minorile il presidente del Consiglio, come ogni altro imputato, ha «le sue ragioni» da far valere. Ed ha ricordato che un governo «resta in carica finché ha una maggioranza» in Parlamento. Queste ovvietà – termine che uso con tutto il rispetto dovuto al povero Giorgio Napolitano – diventano notizie di fronte agli strafalcioni istituzionali e alle malvagità dei partiti di opposizione. Che, a cominciare da quello più grande e dal suo segretario Pier Luigi Bersani, sempre più appiattito sull'imitazione che ne fa il comico Maurizio Crozza, reclamano un giorno sì e l'altro pure le dimissioni del presidente del Consiglio a tutela del buon nome dell'Italia, proprio per la sua ultima vicenda giudiziaria, senza attendere uno straccio di risultato processuale. Sempre dai partiti di opposizione, e sempre a cominciare da quello più grande, si reclamano la crisi e le elezioni anticipate, con o senza il ricorso ad un governo di cosiddetta transizione, spesso contando persino sull'aiuto del capo dello Stato, perché la maggioranza parlamentare di cui Berlusconi dispone sarebbe fasulla. Eppure essa cresce di giorno in giorno, visto che anche ieri un altro deputato ha annunciato la sua uscita dal sempre più traballante gruppo di Futuro e Libertà. Che è il partito d'opposizione sfacciatamente concepito da Gianfranco Fini, a dispetto della sterilità politica, cioè neutralità, o terzietà, imposta dal buon senso comune e istituzionale al suo ruolo di presidente della Camera. Anche a carico di questa maggioranza gli avversari parlamentari e mediatici del Cavaliere sono arrivati a reclamare interventi giudiziari. Alla Procura di Roma esiste da due mesi, su denuncia del solito Antonio Di Pietro, un fascicolo per presunta compravendita di quei deputati che, in dissenso dai gruppi di opposizione ai quali appartenevano, o dai quali provenivano, fecero mancare il 14 dicembre nella votazione di sfiducia i numeri necessari. A quella denuncia di Di Pietro si è ultimamente aggiunta la gravissima accusa di Fini, non si sa ancora se finita anch'essa in quel fascicolo giudiziario, che ci sia il peso «finanziario», cioè corruttivo, del presidente del Consiglio dietro l'emorragia che hanno ripreso a subire i gruppi parlamentari del suo partito tra le fanfare di un congresso fondativo, o assemblea costituente, che più paradossale non poteva rivelarsi. Per un bel po' le opposizioni hanno contestato al governo sfuggito al tentativo di sfiducia di metà dicembre l'intenzione di vivacchiare, senza promuovere iniziative legislative o di altro tipo, anzi svuotando o paralizzando l'attività parlamentare. Se n'è doluto severamente anche l'ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, con l'aria di uno che s'intende di certe cose e può quindi parlarne a più titolo di altri. Ma è bastato che il governo annunciasse o impostasse venerdì scorso alcuni disegni di legge di riforma della Costituzione, con tutte le lunghe e complesse procedure che essi comportano, perché le opposizioni protestassero ancora di più e preparassero le loro solite barricate. Viene voglia dire, anche sulla spinta delle felici ovvietà di Napolitano: andate a quel paese.