Ingiurie all'Italia antico vizio inglese
Chissà se il direttore e gli editorialisti del «Financial Times» conoscono il celebre libello sulle condizioni del Regno delle Due Sicilie che un illustre liberale inglese dell'Ottocento, lord William Ewart Gladstone, il 17 luglio del 1851, scrisse nella forma di un mazzettino di lettere indirizzate all'allora capo del governo britannico George Hamilton Gordon, conte Aberdeen, del quale egli era ministro... Speriamo che lo conoscano. Anzi, speriamo che non ne conoscano soltanto il testo ma anche le vere ragioni per cui fu scritto, nonché il metodo col quale fu redatto, e soprattutto l'edificante dettaglio del tardivo riconoscimento, da parte dell'autore, della loro sostanziale falsità. Giacché solo se sull'argomento saranno adeguatamente informati essi potranno scorgere alcune abbaglianti, lusinghiere analogie fra la natura nobilmente truffaldina e calunniosa di quel famoso scritto antiborbonico e quella non meno mendace delle varie contumelie che il loro autorevole foglio sta rivolgendo da un pezzo all'Italia ancor prima che al suo premier attuale. La sola differenza fra quelle antiche ingiurie e gli insulti di oggi è in effetti lo stile. Mentre infatti il timbro degli attacchi del «Financial Times» è fieramente laico, il pamphlet di Gladstone non era privo di accenti vagamente religiosi. L'Italia di oggi, secondo il principale quotidiano economico-finanziario del Regno Unito, sarebbe ormai un paese arabeggiante, governato da un'autocrazia, divorato dalla corruzione e dominato dalla criminalità organizzata. Invece il governo borbonico, secondo Gladstone, non rappresentava soltanto «l'incessante, deliberata violazione di ogni diritto», «l'assoluta persecuzione della virtù congiunta all'intelligenza», «la sovversione di ogni idea sociale e morale eretta a sistema di governo»: era semplicemente, come suonava l'espressione più famosa di quel testo, poi subito ripresa e sbandierata da tutti i fautori della causa piemontese, «la negazione di Dio». Ma i fini delle ingiurie di allora sono pressoché identici a quelli degli insulti di oggi. È infatti ormai arcinoto che come la politica antiborbonica dei governi inglesi della nostra età risorgimentale fu in larga misura motivata dal disegno di bloccare lo sviluppo economico, industriale e commerciale del Regno delle due Sicilie, avviato da Ferdinando II, nell'area del Mediterraneo, similmente oggi il deciso orientamento antiberlusconiano di alcuni poteri inglesi è motivato, come ieri su questo giornale ha lucidamente spiegato Mario Sechi, dal proposito di contrastare il rilancio dell'Italia sul mercato energetico europeo avviato con successo, appunto, dal governo del Cavaliere. Conviene però ricordare che Gladstone, dopo aver dato, con quelle sue lettere, un potente contributo alla diffusione in tutta Europa di un sentimento di ostilità e disprezzo per il regno borbonico, e per ciò stesso al suo crollo, non seppe più tardi sottrarsi al dovere di ammettere di aver raccontato, in quelle pagine, un sacco di balle. Accadde esattamente nel 1888, quando egli tornò a Napoli dietro invito dei maggiorenti del nostro cosiddetto partito liberale, i quali naturalmente non mancarono di glorificarlo proprio per le lettere con cui, tanti anni prima, aveva dato una mano alla loro rivoluzione. In quella circostanza egli infatti confessò candidamente che tutti gli orrori che aveva descritto in qui testi come frutto di personali osservazioni e ricerche, compresi i passi sulla ferocia delle persecuzioni e delle carceri borboniche, li aveva invece denunciati dietro suggerimento, se non per ordine, del suo amico Palmerston, fervente fautore del nostro Risorgimento, nonché sulla base dei racconti dei nostri patrioti. Questa pubblica ammissione Gladstone la fece circa quarant'anni dopo la pubblicazione del suo menzognero libello. Quanti dovranno passarne perché le sibille del «Financial Times» si decidano a rivelare che le sciocchezze e le volgarità che vanno scrivendo sul nostro paese e sul suo premier vengono loro dettate dalla lobby che congiunge certi ambienti anglòfoni ai nostri circoli neo-puritani?