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Un Paese "forziere" di accordi commerciali

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Sulla Libia la retorica banalotta si spreca e così si perde di vista la cifra politica e strategica dei rapporti italo-libici. I fatti. Veltroni schiaffeggia il governo per l'imbarazzante - a suo dire - silenzio sui cento morti a seguito dei sommovimenti «per il pane e la libertà» nella patria del colonnello Gheddafi. Casini segue a distanza di sicurezza l'ex sindaco di Roma ed entrambi chiedono che il Governo riferisca in Parlamento su quanto sta avvenendo. Come se le cause prossime e remote della strage in quella terra fossero attribuibili, sic et simpliciter, al Governo. Il che vuol dire, tradotto dal politichese stantìo: a Berlusconi. Risuona nell'aria ancora la fatwa contro il Presidente del Consiglio amico di Gheddafi, accolto come un pascià in Italia e con smodate esibizioni ai limiti del kitsch. Questa è analisi di costume, ma la realtà si incarica di mostrare un itinerario storico-politico non trascurabile e censurabile con un appello eticistico anti-Libia o un saggio di sedicente «buon gusto» estetico-istituzionale. I fatti sono testardi. Cerchiamo di conferire loro il peso specifico che hanno e devono continuare ad avere. Allora, intanto l'area del Maghreb, dal 1989, si è auto-organizzata in un Grande Maghreb e la data di origine di questo nuovo assetto non è casuale. Dopo il crollo del comunismo, gli assetti internazionali hanno profondamente modificato l'area mediterranea. Se ne erano accorti, in ordine, sia Andreotti che Craxi, amici di strategia internazionale, tanto quanto erano nemici nella politica domestica. Uno dei protagonisti centrali di quest'area, storicamente vicina all'Italia con un Ventennio fascista teso alla conquista del suo cuore geo-politico, è la Libia di Gheddafi. I rapporti tra Italia e Libia sono stati complessi ma stabili. Ad esempio, fu Craxi ad avvertire Gheddafi dell'imminente bombardamento americano del 1986. Dal 2008, con il trattato di Bengasi, gli interessi italiani sono aumentati. La partita di Berlusconi con Gheddafi riprende così un filone aureo geo-politico euromediterraneo che, dal Ventennio, passa per Craxi e giunge, rafforzato, fino a noi. Perché la geografia, come insegnava Braudel, è la storia materiale nei suoi connotati riproduttivi, estensivi, dunque economici. Se l'Italia tiene è anche perché Berlusconi, con sano fiuto politico-diplomatico, procede tenacemente per quella direzione. In Libia c'è un fondo sovrano che opera in Italia, il che vuol dire: lo Stato libico, con le casse piene di soldi, si attiva nel nostro Paese e movimenta capitali rilevanti. Le banche nostrane sono un asset forte e accreditato, infatti, Unicredit opera attivamente da quelle parti. Poi c'è il business gigantesco sulle infrastrutture, la realizzazione dell'autostrada libica Rass Ajdir-Imsaad, 1700 km di viabilità, tanto per intenderci. Infine, Eni e Finmeccanica, player attivi in Libia. Insomma, c'è tanta bella roba di mezzo e, in una crisi che proprio la sinistra salottiera continua a definire apocalittica, forse non è il caso di fare gli schizzinosi. Ciò non equivale ad azzerare le responsabilità politiche di un regime certamente illiberale, ma è evidente che non possiamo continuare a pensare, come nell'area progressista delle anime belle si fa ad ogni piè sospinto, che gli interessi nazionali siano «puliti» se gestiti da un pool di compagni e compagni di strada (sempre la solita) e «sporchi», se, di contro, a governare sia la destra liberale pragmatica. Il pragmatismo non è cinismo, corrisponde alla weberiana equazione mezzi-fini. L'etica della responsabilità si salda all'etica della convinzione e ne scaturisce un mix di efficacia certamente superiore al guazzabuglio saldato dalla «cultura del piagnisteo». Il Novecento è finito da un pezzo, ma i cascami del progressismo radical-chic nostrano sono ancora a tavola a mangiare il pane vecchio di una volta. Un teatro scelto per non esistere politicamente? Chissà, qui si apre un altro capitolo. Torniamo al tema, perché c'è un altro aspetto da considerare, più attuale. Eccolo: non si capisce perché Berlusconi sia ributtante come partner di Gheddafi e Prodi sia stato considerato lungimirante come apologeta de comunismo di mercato cinese e dunque amico della Cina. Perché, in Cina, le cose funzionano meglio sul piano dei diritti umani e delle libertà civili? Richiamo soltanto un ottimo contributo del prof. Lottieri sulla questione dei diritti umani in cina, scaricabile dal sito dell'Istituto Bruno Leoni. Due pesi e due misure, come sempre. L'ordinaria amministrazione del cinismo ideologico. La questione libica è ascrivibile alla voce «crisi» dell'area maghrebina, non v'è dubbio alcuno, ma non è stralciabile in punta di retorica dei diritti umani a senso unico. Ci vuole altro e, in attesa di qualche altro Solone, suggerirei un rimedio antico: la politica.

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