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Quarantenni all'assalto del Pd

Pierluigi Bersani, segretario del Pd

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Hanno dieci anni di differenza. E più che una distanza anagrafica, rappresentano una distanza politico-culturale. Uno, Nicola Zingaretti, classe 1965, ha vissuto la fase finale dell'esperienza del più grande partito comunista d'Occidente (anche se i primi incarichi sono arrivati nel 1991). L'altro, Matteo Renzi, classe 1975, ha iniziato a interessarsi della «materia» quando il muro di Berlino era già crollato. Differenze che forse hanno pesato sulle loro carriere, ma che non cancellano gli elementi comuni. Su tutti il fatto che entrambi, per le leggi matematiche che regolano l'universo politico italiano, vengono considerati appartenenti alla categoria dei «quarantenni» e quindi, dei «giovani». Ma c'è di più. Ora che nel Pd sembra entrare nel vivo la corsa per la leadership, Renzi e Zingaretti hanno la possibilità di giocarsi le loro carte. E a ben guardare le loro mosse hanno già iniziato a farlo. Sia chiaro, nelle dichiarazioni ufficiali, tutti e due ribadiscono che la loro priorità è svolgere nel migliore dei modi il compito di sindaco di Firenze e di presidente della provincia di Roma, ma il palcoscenico nazionale è qualcosa di più di una semplice ipotesi. Matteo, ad esempio, ha appena dato alle stampe il suo libro dal titolo Fuori! che, come recita il risvolto di copertina, «racconta le sue aspirazioni e dà voce alla speranza di una svolta. "Adesso tocca a noi" scrive "ridare fiato al Pd, ma soprattutto ridare slancio all'Italia"». Insomma più che un semplice libro, un vero e proprio programma di governo. Che fa il paio con le dichiarazioni rilasciate in questi giorni dal sindaco. Le ultime ieri, in un'intervista alla Stampa: «Compito della sinistra è essere credibile perché non potrà essere una manifestazione o un processo a risolvere il problema. Non si può continuare a pensare che tutti quelli che votano Berlusconi siano deficienti o criminali». E ancora: «Le elezioni non bisogna chiederle per quello che fa lui di notte, ma per quello che non fa di giorno». Senza dimenticare le accuse alla strategia messa in campo dal segretario democratico Pier Luigi Bersani: «Rinuncio a capire la sua logica. Per mesi abbiamo inseguito Fini. Ora che ci ha detto di no, continuiamo a corteggiarlo, inseguendo pure Bossi». Renzi quindi, sta scaldando i motori e non è da sottovalutare il fatto che, per presentare il libro, ha messo in piedi un tour che, dopo Firenze e Milano, oggi toccherà Perugia e, martedì prossimo, Roma. Con altre date che si aggiungeranno. A favore del «rottamatore» giocano l'insofferenza di una gran parte del partito per una classe dirigente che appare «immortale», l'essere cattolico che potrebbe evitare la scissione dagli ex Ppi ma anche attirare l'Udc, e una certa sfrontatezza (si candidò alle primarie del 2009 nonostante la contrarietà dell'establishment democratico). Ma proprio queste caratteristiche lasciano pensare che la sua corsa verso la leadership non sarà una passeggiata. Difficilmente, infatti, la dirigenza del Pd resterà con le mani in mano ad osservare l'ascesa di Renzi. Ed è qui che entra in gioco Zingaretti. Il presidente della Provincia di Roma potrebbe diventare l'asso nella manica di Bersani per fermare coloro che, Walter Veltroni su tutti, spingono il sindaco di Firenze. Gradito all'Udc (che lo avrebbe sostenuto anche alle Regionali del 2010) ma allo stesso tempo personalità riconosciuta della sinistra, Nicola ha un'esposizione mediatica nettamente inferiore a quella di Renzi anche se domenica si è concesso, ospite di Maria Latella, un'apparizione su Sky. E lì ha spiegato che lui non sta certo in panchina: «Sono in campissimo. Sono presidente di un ente di 4 milioni di persone, siamo un punto di riferimento importante e mi auguro non solo locale». Nel frattempo Zingaretti ha lanciato il sito internet Per l'Italia con l'obiettivo di «dare vita a una rete aperta, chiamando tanti talenti italiani nel mondo a confrontarsi ed essere protagonisti di una battaglia di idee su quattro grandi temi»: tornare a crescere, far funzionare lo Stato, dare cittadinanza, fare spazio al talento. «Sono i temi - spiega Zingaretti - di una nuova agenda di priorità di cui il nostro Paese ha bisogno». Anche lui, quindi, sta mettendo a punto il suo programma di governo. C'è solo un dubbio. Già in passato Zingaretti ha mostrato di poter rinunciare alle proprie ambizioni per il bene del partito. E c'è chi giura che se dovessero chiedergli di correre per il Campidoglio, rinuncerebbe alla ribalta nazionale. Dieci anni di differenza si vedono anche da questo.  

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