La pecorella e il buon pastore
Ho sempre provato grande ammirazione per l’organizzazione della Chiesa, per la forza naturale del Papato, per la saggezza con cui uomini tra gli uomini sono riusciti a costruire una macchina che secondo alcuni studiosi è il modello in cui si ritrovano tutti i governi: il Papato è la monarchia, il collegio dei cardinali è l’aristocrazia e le conferenze episcopali sono la democrazia. Non penso sia una tripartizione esatta, ma non c’è dubbio che la Chiesa abbia una capacità ineguagliabile di guardare alle cose terrene, in particolare alla politica. I regni di Cesare e Dio sono percepiti come separati, ma essere nel regno di Dio non significa affatto essere anche indifferenti alla politica. In questo senso, la Chiesa è un’altra «forza tranquilla» che agisce nella società, si muove con una sua agenda che travalica i piccoli interessi della politica politicante per perseguire obiettivi generali più importanti, universali. Ecco perché mi è apparso goffo e misero il tentativo di chi prevedeva (e auspicava) un cataclisma nell’incontro di ieri tra Silvio Berlusconi e i vertici ecclesiali. La celebrazione dell’anniversario dei Patti lateranensi è stata ordinata, formale, cordiale. Nessun imbarazzo né anatema. Piuttosto un salutare bagno di savoir faire e realismo, quello che da troppo tempo manca alla politica. Berlusconi sarà una pecorella smarrita, ma proprio per questo il buon pastore non l’abbandona.