In prima linea contro le mutilazioni

La marcia non si ferma. Attivisti, istituzioni e società civile sono in cammino verso l'Assemblea generale dell'ONU di settembre, quando approderà al Palazzo di Vetro la risoluzione per la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili. L'Italia è in prima linea in questa battaglia di civiltà. Per dire basta alla pratica della circoncisione, infibulazione, escissione, e tutelare tutte quelle donne vittime di abusi e di una pratica violenta che non trova giustificazione. Dopo la presentazione a Palazzo Wedekind della campagna «Decidi tu che segno lasciare», promossa dall'associazione «Non c'è pace senza giustizia», ieri l'incontro alla Farnesina con gli attivisti africani impegnati, sul campo, nella lotta alle mutilazioni genitali femminili. «L'appuntamento di settembre è l'obiettivo che ci siamo prefissi - ha spiegato il direttore generale della Cooperazione italiana, Elisabetta Belloni - e abbiamo una buona possibilità di riuscirci. Evitare che venga violato il corpo di una donna è una battaglia che non si può non vincere: se non sarà a settembre, accadrà comunque nel lungo termine». Una campagna a livello internazionale che parte da due presupposti: da un lato affermare un diritto umano che non ha a che fare - come spesso erroneamente si ritiene - con questioni religiose o mediche; dall'altro promuovere la cosiddetta «ownership» africana, ovvero spingere affinché a farsi promotori della risoluzione ONU per la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili siano proprio i Paesi dove la pratica è più frequente. Il perché lo spiegano proprio gli attivisti africani. Come Rahim Kamara, della Sierra Leone, direttore dell'Associazione "Manifesto 99": «Nei nostri Paesi ci sono molte resistenze, sia culturali che politiche. Data la preoccupazione dei nostri rappresentanti di perdere voti, è difficile che la questione possa essere affrontata di petto. La risoluzione ONU ci consentirebbe di utilizzare un approccio più sottile». Come la Sierra Leone, sono 29 i Paesi africani dove è praticata questa violenza sulle donne, cui si aggiungono Kurdistan, Bolivia, Yemen, Arabia Saudita, Indonesia. Oltre 120milioni le donne mutilate, secondo le stime più recenti, 2milioni in più ogni anno, 8 mila giovani vittime ogni giorno. Un tentativo per una legge repressiva del fenomeno, in Camerun, è stato fatto, ma senza alcun risultato: «Oggi 28 Paesi hanno istituito un Comitato nazionale che si occupa del problema - spiega Comfort Effiom, direttrice del Comitato inter-africano - ma solo 17 Paesi hanno adottato leggi restrittive. E così c'è una vera e propria migrazione per praticare le mutilazioni nei Paesi dove non sono ancora vietate». Per vincere questa battaglia, però, non basta l'interessamento della politica. C'è bisogno di uno sforzo di divulgazione: «Noi cerchiamo di tradurre le leggi nelle lingue locali per farle comprendere alle popolazioni, anche nelle aree rurali dove la pratica è molto diffusa- continua Comfort Effiom - Ma serve anche un sostegno finanziario per abbattere tutti gli ostacoli che incontriamo». Un'opera di sensibilizzazione, quindi, che va di pari passo con l'azione di pressione politica. In Italia la campagna «Decidi tu che segno lasciare», promossa dall'associazione «Non c'è pace senza giustizia», fondata dalla senatrice Emma Bonino, e sostenuta da Il Tempo, va avanti per abbattere il muro dell'ignoranza e dell'indifferenza. Sul sito internet www.noncepacesenzagiustizia.org è possibile lasciare la propria firma per la messa al bando di circoncisione ed infibulazione. «In soli sette giorni - spiega Loredana Di Guida di Pan Advertising - abbiamo registrato 17mila firme e 28mila visitatori della pagina. Un ottimo risultato, che deve crescere ancora di più».