Viespoli si dimette per 15 minuti
Dentro Fli, ma non finiani. Con lo strappo operato ieri dai senatori di Futuro e Libertà, assistiamo alla nascita di una nuova - l'ennesima - figura politica: i «viespoliani». La storia è questa: il capogruppo futurista al Senato, Pasquale Viespoli, dopo una riunione con i suoi durata più di quattro ore, decide di dimettersi. La decisione - spiega - viene presa «per due ordini di motivi: perché a suo tempo sono stato "nominato" e perché l'organigramma definito successivamente all'assemblea costituente (che affida le redini del partito a Italo Bocchino, ndr) non è corrispondente al mandato che ho ricevuto dal gruppo del Senato in quella sede e con il posizionamento strategico di centrodestra emerso dall'Assemblea stessa». Punto e basta. Solo che poi - sono passati solo quindici minuti - Viespoli viene rieletto all'unanimità capogruppo con un preciso e inequivocabile mandato: confermare la collocazione di Fli nel centrodestra. Ai giornalisti un po' sbigottiti spiega: «Non c'è solo la dimensione di partito, c'è quella parlamentare. È quella che abbiamo affermato oggi. E in questo gruppo ci sono persone che restano, anche in nome di una comune esperienza umana, pur non riconoscendosi in Fli». Come dire - e si tratta di un'elucubrazione di veltroniana memoria, altro che centrodestra - restiamo all'interno di Fli perché crediamo nel progetto appena nato, ma anche perché non ci crediamo. «Nessun problema personale con Italo Bocchino», assicura Viespoli, anche se «gli organigrammi indicati rischiano di veicolare politiche diverse» da quelle del centrodestra. E un'unica certezza: «Non farò parte dell'ufficio di presidenza di Futuro e Libertà». Il che, tradotto, significa: «Non intendo prendere ordini dal segretario», cioè - per l'appunto - da Italo Bocchino. Nasce, quindi, una sorta di «Repubblica autonoma» rispetto alla creatura politica che ha appena visto la luce a Milano. Le posizioni - anche al suo interno - sono diverse. Qualcuno è molto arrabbiato, in quattro propongono di rimanere dentro Fli solo a patto di stare «con il fiato sul collo di Fini, obbligandolo a restare incollato ad una linea di centrodestra, senza scarti a sinistra, aprendo prima possibile la fase congressuale, prima locale e poi nazionale, per contrastarlo». E c'è chi assicura che, senza la soluzione ideata da Viespoli, almeno due senatori erano pronti a mollare. Si fanno i nomi di Giuseppe Menardi e Francesco Pontone, ma anche a Egidio Digilio la scelta di Bocchino sembra non sia piaciuta molto. Maria Ida Germontani tenta, invece, di calmare le acque: «Viespoli ha fatto la cosa giusta. Ma ci tengo a dire che la collocazione nel centrodestra è la stessa indicata da Fini». Già, Fini. Il presidente della Camera decide di non intervenire nel dibattito pomeridiano dei senatori. Poi, a «secessione» avvenuta, gela i dissidenti: «La linea politica è inequivocabile: Fli vuole rifondare il centrodestra e l'organigramma è in linea con questa volontà. Quindi non cambia nulla, perché giudico infondati i rilievi. Trovino argomenti più consistenti». Ma che fine ha fatto «il dissenso interno al partito» tanto caro ai finiani?