Non toccateci la fantasia lasciateci sognare le infermiere
{{IMG_SX}}Care donne lasciateci almeno liberi di sognarvi vestite da infermiere, non imprigionate i nostri desideri in una litania da piccolo mondo antico, non chiedeteci di "concertare" con voi anche le nostre fantasie. Queste parole mi sono balzate in testa dopo aver ascoltato e riascoltato un passaggio dell'intervento di Susanna Camusso, la leader della Cgil, in Piazza del Popolo a Roma domenica, nel giorno della manifestazione delle donne Se non ora quando? Il passaggio è questo: «Vorrei che guardassimo con rispetto quella donna che cura la nostra vita, che qualche volte assiste la nostra morte: è una lavoratrice, rispettiamo il suo abito che non è una divisa da fantasie malate di un potente». Il ritratto di quella lavoratrice, se non sbaglio ed a rigor di logica, è il ritratto del lavoro da infermiera. Che io, come credo la grandissima parte dei maschi italiani e stranieri, rispetto. Eccome. Domanda: se un uomo sogna sua moglie, la sua fidanzata o chi gli pare a lui - donna maggiorenne - vestita da infermiera, compie un reato? No, vivaddio. Lo si potrà incolpare di essere banale nei suoi desideri, nelle sue fantasie, dirgli che sarebbe intellettualmente più stimolato se guardasse un bel film sulla condizione femminile e sognasse subito dopo un bel cineforum sulla parità sessuale, ma insomma, non si può imporre un regime politicamente corretto alla fantasia degli uomini. E neppure - ci mancherebbe altro! - a quella delle donne. Per questo nella liturgia delle piazze piene di donne, domenica scorsa, ci ha colpito la similitudine - nella mise-en-scène - con una sorta di messa cantata, litania dopo litania: parla la precaria da sola, parla la suora da sola, parla la sindacalista, parla la regista da sola e via di seguito. Non da un pulpito ma da una palco, con un microfono davanti. Una narrazione simile, in diversi passaggi, a quella del programma - di grande successo - di Fabio Fazio e Roberto Saviano, Vieni via con me, andato in onda in autunno su Raitre. Il fatto, però, che al modo di far televisione di Fazio ci siano dei maschi italiani che preferiscono - che so? - il Drive In anni Ottanta di Antonio Ricci, beh è un segno di libertà, non di antifemminismo o di barbarie. Per questo dico: viva Fazio e viva Ricci e più modi diversi ci sono e meglio è. Ciò che non va è l'unanimismo, quello davvero sì triste e noioso. Quanto alle infermiere, intendiamoci: non le hanno messe in scena, come pensano in parecchi, solo le commedie ironico-erotiche degli anni Settanta, dei vari Pierino e delle tante visite militari, ma anche la commedia e il teatro con la T maiuscola. Quello di Carmelo Bene, ad esempio, autore e attore (in Francia è considerato a livello di Molière) che in una sua versione-collage da Un Amleto di meno del poeta francese Jules Laforgue (titolo beniano Hamlet Suite) recitava: «Non ho una che sappia gustarmi. Ah, sì, un'infermiera. Un'infermiera per amor dell'arte, che conceda i suoi baci solamente ai moribondi, a gente in extremis e che perciò non possa vantarsene». Perché «l'arte è tanto grande e la vita è così breve» da non meritare una concertazione tra generi - il maschile e il femminile - sui sogni. Almeno su quelli evitiamoci il «segue dibattito».