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La potenza di fuoco dei giudici

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Bettino Craxi

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Impressiona la potenza giudiziaria di fuoco della Procura di Milano, rimasta intatta, se non aumentata, rispetto al biennio 1992-93, quando con Bettino Craxi venne abbattuta la prima Repubblica, schiacciata sotto le inchieste enfaticamente chiamate «Mani pulite». La rapidità con la quale il giudice delle indagini preliminari Cristina Di Censo ha accolto la richiesta di processo immediato a Silvio Berlusconi per concussione e prostituzione minorile ricorda un po' il lavoro del giudice Italo Ghitti, all'epoca appunto di Mani Pulite. Anche allora per un bel po' non ci furono richieste dei pubblici ministeri che non fossero accolte da lui. Egli arrivò persino a suggerire per iscritto come modificare un'istanza invasiva dell'accusa per poterla accettare. L'appunto fu poi scoperto in una ispezione ministeriale ma non destò stupore, o scandalo, più di tanto né sui giornaloni né al Consiglio Superiore della Magistratura. Dove, nel frattempo, quel giudice era approdato come esponente togato, eletto cioè dai suoi colleghi. Costretto infine ad occuparsene, il Consiglio naturalmente lo assolse nel 1999. In quegli anni bui era difficile, diciamo pure impossibile, trovare nel tribunale di Milano qualche magistrato capace di contrastare o solo di dissentire da quella macchina schiacciasassi che era diventata la Procura. La povera Tiziana Parenti ci provò tanto inutilmente che alla fine preferì cambiare mestiere. Per quanto inquietanti e temibili, le analogie rispetto a quel periodo finiscono tuttavia qui per nostra fortuna, e per sfortuna -spero- delle tifoserie politiche della Procura ambrosiana e degli uffici limitrofi. Dove peraltro la carriera unica, come in tutti i palazzi di giustizia italiani, consente a pubblici ministeri e a giudici una frequentazione o assonanza sconosciute o persino vietate in paesi di consolidata democrazia. Erano inglesi, per esempio, quei magistrati che ormai molti anni fa vennero in missione a Roma ed espressero la loro meraviglia scoprendo che pubblici ministeri e giudici potessero prendere lo stesso ascensore. A raccontare l'episodio sul Corriere della Sera fu il giudice italiano che li accompagnava nella visita: il buon Rosario Priore, poco gradito alla corporazione giudiziaria da quando si mostrò favorevole alla separazione delle carriere, ritenendola perfettamente compatibile con l'autonomia e l'indipendenza della magistratura garantite dalla Costituzione. Diversamente da quel terribile biennio della fine della cosiddetta Prima Repubblica, e a dispetto delle piazze riempite non più tardi di domenica scorsa dalle avversarie e dagli avversari del Cavaliere, l'area moderata e liberale del Paese non è più sguarnita come una tendopoli. Da Lega, del cui sostegno l'allora capo della Procura di Milano Francesco Saverio Borrelli si compiacque pubblicamente, prima che anche il Carroccio venisse lambito dalle inchieste e dai processi sul finanziamento illegale della politica, non sventola più i cappi in Parlamento. E sostiene lealmente Berlusconi, pur non condividendo il modo in cui egli trascorre, diciamo così, il suo tempo libero fra le lenzuola. La stampa garantista è più numerosa e coraggiosa. Anche dai giornaloni allora allineati alla Procura ambrosiana si levano adesso voci discordi e preoccupate. Ma, soprattutto, il partito e l'elettorato di Berlusconi non sono paragonabili ai partiti e agli elettorati divisi e sbandati dei Craxi, Forlani, Martinazzoli e altri di quell'epoca sfortunata. Nei suoi diciassette anni di azione politica il Cavaliere è riuscito a creare attorno a sè, pur con tutti i limiti organizzativi di Forza Italia e poi del Pdl, quello che il direttore Mario Sechi qui, sul Tempo, chiama giustamente "blocco sociale". Nel quale è difficile che un coltello giudiziario con manico politico, o viceversa, come preferite, possa affondare come nel burro. La sorpresa che la sinistra post-comunista e i suoi alleati di complemento si ritrovarono fra i piedi nelle elezioni anticipate del 1994, con la vittoria di Berlusconi, potrà essere questa volta ancora più grande e, per essi, rovinosa di allora.

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