Silvio si rifugia in Sardegna "Ce l'ha solo con me"
Sparito dai radar. È rimasto un giorno e mezzo a Villa Certosa, in Sardegna. Da solo. Quasi da solo. Ad accompagnarlo soltanto la consigliere provinciale di Napoli, Francesca Pascale, che da più parti viene indicata come la sua vera fidanzata. Silvio Berlusconi si distacca. Si ritaglia un pezzo di vita privata, per quello che è possibile. Arcore ormai è violata, spiata, costantemente controllata al punto che il Cavaliere deve volare a punta Lada a Porto Rotondo, il posto più fotografato e paparazzato d'Italia per ritrovare un po' di privacy. Il Silvio, che si rinchiude a controllare i lavori delle nuove dependance e a rilassarsi con il giardinaggio, è un Berlusconi ancora colpito dell'incontro con Napolitano venerdì scorso. Si aspettava una difesa chiara, si aspettava che il Capo dello Stato riconoscesse l'irruzione della magistratura nei suoi confronti. E in fin dei conti s'aspettava un intervento, magari pubblico, del presidente della Repubblica in sua difesa. Invece s'è trovato di fronte un Napolitano rigido e irrigidito. Che il giorno dopo, sabato, diffonde una nota in cui ventila pure la possibilità che si vada al voto. «Quando a chiederlo eravamo noi, il Quirinale alzava le barricate e pensava a un governo tecnico. Oggi che le chiede l'opposizione, l'atteggiamento è diverso», spiega un berlusconiano ultrà che vuole l'anonimato visto che l'ordine di scuderia è non creare tensioni con il Quirinale oltre quelle che già sono forti. Così a parlare sono autorizzati solo i capigruppo, con una dichiarazione (ne riferiamo a parte) tutta tesa a ricordare che il governo la maggioranza ce l'ha, dato confermato in tutti i recenti passaggi parlamentari. Il pensiero di Berlusconi è chiaro. Si può riassumere con un interrogativo: perché ce l'ha solo con me? Quello che fa arrovellare la testa del premier è il fatto che Napolitano nel suo richiamo sia stato esplicito - sebbene in maniera indiretta - soltanto con la presidenza del Consiglio. Nessun monito alla magistratura, alla difesa della privacy, nessun avvertimento alla stampa. Nulla, solo parole dure ad evitare «strappi mediatici», in pratica contro i videomessaggi o le parole pesanti in conferenza stampa sull'ipotesi di intentare un causa allo Stato da parte del capo del governo. E nulla di nulla, neanche una sillaba pronunciata in pubblico, su Gianfranco Fini. Il presidente della Camera è arrivato pure a proporre le dimissioni contemporanee sue e di Berlusconi (rimasto colpito dallo spiegamento di forze al congresso di Fli per «quattro gatti, fosse stato il nostro congresso avrebbero già aperto un'inchiesta»). In questa situazione invece il presidente della Repubblica ha fatto ricadere sul governo della paralisi in Parlamento, è il ragionamento che viene avanzato all'interno del partito del premier. Dentro il Pdl, tuttavia, c'è un certo malumore. Malumore per la condotta di questa partita così delicata tra poteri dello Stato. Qualcuno mormora: «Siamo affetti da complottite, vediamo complotti ovunque». Anche perché prossimamente tra Camera e Senato non sono previste partite complesse o agguati. Anzi. Si dovrà decidere su missioni all'estero e biotestamento, e la maggioranza potrebbe andare oltre i propri numeri. Nonostante ciò, la tensione resta alta. La fibrillazione è eccessiva persino per i fan del Cav. È un malcontento diffuso ma sotterraneo. Quel che i vertici del Pdl sottovalutano è che si tratta un movimento che si va organizzando. Lentamente, settimana dopo settimana. Per il momento tutti restano allineati e coperti in attesa della decisione del gip sulla richiesta del processo immediato per Berlusconi. Richiesta che è stata avanzata dalla Procura sia per il reato di concussione che per quello di prostituzione minorile. Gli uomini del Cav si aspettano anche l'ipotesi che venga respinto il rito immediato ma contemporaneamente il giudice per le indagini preliminari potrebbe decidere comunque il rinvio a giudizio con il rito normale in modo da non far suonare la decisione come una sconfitta per i pm. Quanto basta però per indebolire ancora Silvio.