Il partito a Bocchino Ma Fli è nel caos
dall'inviato MILANO Alla fine ha vinto Italo Bocchino. Il falco, l'uomo di cui Fini si fida ciecamente, è riuscito a farsi consegnare le chiavi di Futuro e Libertà e a farsi nominare vicepresidente. Un successo che però non segna una tregua perché dentro Fli le posizioni restano lontanissime. E addirittura oggi il capo dei senatori Pasquale Viespoli e Adolfo Urso potrebbero incontrare Fini e rinunciare ai loro incarichi. Per arrivare a un accordo non sono bastati a Gianfranco Fini tre giorni di trattative, giocati con il coltello tra i denti da tutti i «colonnelli», e una notte passata quasi interamente insonne. Doveva essere lui ieri mattina dal palco ad annunciare il nuovo segretario ma liti e veti incrociati hanno fatto rimandare tutto a congresso ormai concluso. Costringendolo a cambiare anche l'assetto previsto del partito pur di tentare un compromesso tra le varie anime di Fli. Lo scontro è nato sul nome di Italo Bocchino, che Fini ha imposto ma contro il quale si sono coalizzati tutti i senatori e l'ala dei deputati capeggiata da Adolfo Urso. Alla fine però a lui è stato dato il posto di vicepresidente in un ufficio di presidenza di cui fanno parte anche Roberto Menia come coordinatore nazionale, Pasquale Viespoli, il nuovo capogruppo che sarà Benedetto Della Vedova, Adolfo Urso che dopo mugugni, scenate e ripicche si dovrebbe accontentare di fare il portavoce, e Andrea Ronchi nominato presidente dell'Assemblea nazionale. Nella segreteria politica sono invece entrati Nino Lo Presti e il segretario di Generazione Futuro Gianmario Mariniello, insieme ad altri dieci «futuristi» non parlamentari (uno comunque in rappresentanza di ogni «colonnello») tra cui anche Umberto Croppi e Alessandro Campi. Lo scontro fra i finiani si è fatto incandescente sabato, quando è diventato chiaro che Gianfranco Fini puntava tutto su Italo Bocchino. Perché è l'uomo che tiene e trova i contatti con i finanziatori (necessari alla sopravvivenza di un partito che per organizzare l'Assemblea di Milano è stato costretto a riempirsi di debiti) e perché è quello che ha fatto praticamente nascere dal nulla il gruppo parlamentare. Ma Bocchino non piace all'ala più moderata di Fli, ai dieci senatori, guidati da Pasquale Viespoli. E soprattutto la sua nomina, unita alla scelta di fare capogruppo Roberto Menia, avrebbe lasciato senza alcun ruolo Adolfo Urso. Così è iniziata la rivolta. E Fini sabato sera è stato costretto a riunire tutti in albergo per trovare una soluzione. Un vertice tesissimo, finito alle tre e mezza di notte senza aver trovato un accordo. Con l'annuncio di dimissioni da parte di qualche senatore se fosse passata la candidatura di Italo Bocchino – e in questo modo Fli avrebbe perso il gruppo al Senato perché a palazzo Madama gli uomini di Futuro e Libertà sono solo dieci, il numero minimo – e con la minaccia di Adolfo Urso di mollare tutto. A quel punto Fini ha rinviato tutto a domenica mattina, sperando in un ripensamento delle «colombe». Che però non hanno mollato. E al presidente della Camera è toccato, poco prima dell'una, salire sul palco per chiudere l'Assemblea costituente senza avere ancora in tasca il nome del segretario. Finito il suo intervento, nuova riunione dove i moderati hanno lanciato la loro proposta: una segreteria formata dal terzetto Menia, Urso e Ronchi lasciando Bocchino a fare il capogruppo. Ipotesi che il leader di Fli ha rifiutato rilanciando: vicepresidenza a Bocchino, Menia capogruppo, Urso coordinatore della segreteria. Giochi chiusi per poco meno di due ore, quando il banco è saltato di nuovo. E la nuova composizione ha consegnato di fatto il partito nelle mani di Italo Bocchino (che può anche controllare il gruppo attraverso la sua fedelissima Chiara Moroni). Regalando un «contentino» a Adolfo Urso e ai senatori. Prima dell'ultimo colpo di scena: Pasquale Viespoli oggi riunirà i senatori e poi incontrerà Gianfranco Fini. Sul tavolo ci sarebbero le sue dimissioni insieme a quelle di Urso. Pa. Zap.