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Il costoso tour americano e i 50 mila dollari spariti

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Questa è la storia di un uomo misterioso. Il suo nome è Gino A. G. Bianchini ed è una delle figure chiave del libro «Attentato allo stato» scritto da Mario Di Domenico (cofondatore dell'Idv e fedele collaboratore del suo leader, prima di una fragorosa rottura tra i due) per raccontare il cambiamento operato da Antonio Di Pietro, passato - a suo dire - «da Mani Pulite a mani libere». Stando a Di Domenico, Bianchini è un italiano trapiantato a Miami, ben inserito negli ambienti dello Stato Vaticano. Lui e Tonino si ritrovano nell'ottobre del 2000 su un jet privato in giro per gli Usa. Con loro c'è anche Di Domenico, allora segretario del partito. L'ex pm è alla ricerca di finanziamenti, il suo fido collaboratore, però, si accorge che c'è qualcosa che non va. L'Italo-americano organizza per loro un tour a cinque stelle: «Un'ospitalità da nababbi. Limousine, Cadillac, aerei privati, hotel extra lusso», racconta. Quando, è il 22 marzo del 2001, Bianchini stacca un assegno da 50 mila dollari intestato all'Italia dei Valori, post datandolo al 13 maggio 2001 (la data delle elezioni), Di Domenico comincia a capire: «Promettevano di rimpinguare con ingenti somme le casse del partito, ma a patto che il Bianchini venisse eletto al Senato della Repubblica», scrive. In effetti, un certo Gino Bianchini (un omonimo?) viene candidato nel collegio senatoriale Roma Trieste, ma poi non viene eletto. Di Pietro non condivide questa ricostruzione e (a Il Fatto Quotidiano il 6 febbraio 2010) dà la sua versione dei fatti: «Alla vigilia delle elezioni del 2006, noi non avevamo in cassa nemmeno una lira per fare la campagna elettorale. Allora chiedemmo un mutuo in banca». La richiesta non venne accettata e le banche chiesero una fideiussione per coprire la cifra desiderata. «La fideiussione quindi - prosegue Di Pietro - doveva essere garantita dai candidati. Io e Calò ci accollammo la quota superiore: 100mila euro a testa». Secondo il leader Idv l'assegno di Bianchini era una di queste quote: «Viene raccolta da Di Domenico, ma non viene incassato. Infatti lui ce l'ha perché se lo è tenuto, no? Se lo avessimo preso noi, l'assegno semplicemente non ci sarebbe». E, in effetti, non c'è traccia del nome di Bianchini nell'elenco delle quote versate per la fideiussione, né nella lettera che Di Pietro invia ai vari sottoscrittori per comunicare la revoca della stessa dopo il versamento alla banca della prima quota del finanziamento pubblico ai partiti. C'è però qualcos'altro che non torna. In una lettera scritta a mano, su carta intestata del Senato, il 27 aprile del 2001, Bianchini si rivolge a Di Domenico lamentando il fatto di non riuscire ad incontrare né lui né Di Pietro. Non nascondendo il suo disappunto per la scarsa considerazione attribuitagli, scrive: «Vorrei tutti del partito si rendessero conto di quanta importanza FINANZIARIA il mio successo con la LISTA D.P. significa o significherebbe per lui e gli americani. Sharon (un avvocato che ha partecipato con loro al tour Usa, ndr) ed io non spendemmo per caso oltre 100 mila dollari per ospitarvi negli Usa».

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