Fini vuole il voto Ma quando decide lui
Insieme siamo stati eletti e insieme, casomai, ci dobbiamo dimettere. Anche subito. Poi saranno i cittadini a decidere con nuove elezioni. Gianfranco Fini lancia la sua proposta a Berlusconi ... segue a pagina 4 e un commento dopo quasi un’ora di discorso dal palco della Fiera di Milano dove conclude la tre giorni che ha fatto nascere ufficialmente Futuro e Libertà. Ma non è il voto a brevissima scadenza l'obiettivo politico che si pone il leader di Fli. Quella è una provocazione che va bene per dar fuoco all'entusiasmo dei suoi sostenitori – tanti ma non tantissimi e fino a quel momento piuttosto tiepidi – per far sventolare le bandiere. Buona per mettere un po' di sale nella minestra dell'antiberlusconismo e per rispondere a chi gli chiede di abbandonare la poltrona di presidente della Camera perché non più compatibile con il suo ruolo. L'orizzonte politico di Fini è più lontano, perché sa che la sua neonata creatura non è pronta ad affrontare una prova elettorale, è un partito fatto ancora quasi esclusivamente di deputati e senatori e poco di gente comune. Insomma mancano le gambe su cui reggersi. Le elezioni – propone il presidente della Camera – facciamole la primavera dell'anno prossimo, nel 2012. Prima diamo corpo alla riforma federale del Parlamento, con un Senato delle Regioni, e a una diversa legge elettorale. «A quel punto - spiega - possiamo far nascere finalmente una nuova Repubblica e chiudere così una fase drammatica di transizione durata anche troppo a lungo». Il bersaglio è sempre Berlusconi, contro il quale, pur nominandolo pochissime volte, il leader di Fli sciorina il solito repertorio di attacchi, dall'aver iniziato un attacco sconsiderato ai magistrati ai comportamenti disdicevoli nella vita privata, dal legame soffocante con la Lega fino all'accusa di aver tradito il vero spirito del Pdl. «Non siamo nati da una scissione, abbiamo deciso di dar vita a un nuovo partito come atto di coerenza proprio verso il Popolo della Libertà – è il suo atto di accusa – Avevamo un'unica strada, non ammainare la bandiera del centrodestra che avevamo alzato». Fini sa che i suoi uomini hanno gradito pochissimo l'interesse con cui a sinistra si guarda a Futuro e Libertà, guardano «inorriditi» a un possibile abbraccio di tutti i partiti dell'opposizione. E nella giornata conclusiva della tre giorni milanese sa che li deve rassicurare. Per questo dal palco ripete come un refrain «siamo noi a tenere alta la bandiera del centrodestra». «È un infingimento volgare dire che noi siamo come la sinistra – rilancia scatenando gli applausi – noi siamo quelli che eravamo quando siamo confluiti nel Pdl, è il Pdl che sta massacrando e rendendo ridicoli i valori del centrodestra». Ma di quella sinistra alla quale vuole contrapporsi Fini ricalca anche le parole d'ordine, l'accusa a Berlusconi di comportarsi in maniera immorale e di non voler andare dai giudici. «Quando si è eletti – rilancia – non si può essere al di sopra delle leggi, non c'è impunità, non ci si può appellare alla sovranità popolare come se fosse una specie di corazza». «Neppure – aggiunge – se si fosse eletti con il 99,9 per cento dei consensi». Parole che scaldano tutta la prima fila in cui si trovano i parlamentari e dove è seduta anche la sua compagna, Elisabetta Tulliani, insieme alla figlia più grande Carolina, arrivate solo ieri per ascoltare Gianfranco. Un discorso lungo, di un'ora e mezza, che la bambina ascolta giocherellando un po' con la nonna per poi uscire dopo una ventina di minuti. Ma neppure la Tulliani resta fino alla fine, dieci minuti prima della conclusione anche lei lascia la sala. Chi resta, invece, è la ex moglie, Daniela Di Sotto, presente fin dal primo giorno dell'assemblea. «Sapevo che era bravo – commenta – ma così bravo no...è stato eccezionale, è come il buon vino che invecchiando migliora». Prima del suo discorso l'assemblea elegge Fini presidente del partito all'unanimità. Poi dal palco, come ampiamente previsto, il leader di Fli annuncia di autosospendersi perché quello è un incarico politico che non è compatibile con il suo ruolo di presidente della Camera. Poltrona che lascerebbe solo se fosse anche il presidente del Consiglio a dimettersi: «Berlusconi è stato eletto anche grazie all'accordo che facemmo io e lui nel 2008, un accordo politico, prima che nascesse il Pdl – è il suo ragionamento – È diventato premier con i voti di An. Così come con quei voti io sono stato eletto presidente della Camera. Allora, visto che quell'accordo non c'è più, faremmo una splendida figura se dicessimo agli italiani che ci dimettiamo e che si va a votare». «Ma non illudiamoci – conclude – a Berlusconi non passa minimamente per il cervello di farlo». La migliore assicurazione di Fini per non doversi cimentare subito con il giudizio degli elettori.