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Il Pdl teme il complotto: "Il governo ha i numeri"

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Forse è presto per parlare di «sindrome del 1994», ma di certo, con il passare dei giorni, all'interno del Pdl si sta facendo strada l'idea del «complotto». Quella secondo cui in Italia sarebbe in atto una manovra per liberarsi di Silvio Berlusconi. I protagonisti sono noti. Ci sono gli uomini del Palazzo, c'è la magistratura, ci sono gli intellettuali. E c'è, soprattutto, il Capo dello Stato. Sia chiaro, nessuno attacca apertamente il Quirinale. Ma è indubbio che le ultime uscite del Colle abbiano destato qualche preoccupazione all'interno del centrodestra. Il campanello d'allarme è suonato sabato quando Napolitano ha diramato una nota per smentire alcune ricostruzioni apparse sui quotidiani del suo faccia a faccia di venerdì con il premier. Ma alla smentita si è accompagnato una sorta di «avvertimento». «Il Presidente della Repubblica - recitava il comunicato - ha insistito su motivi di preoccupazione, che debbono essere comuni, sull'asprezza raggiunta dai contrasti istituzionali e politici, e sulla necessità di un sforzo di contenimento delle attuali tensioni in assenza del quale sarebbe a rischio la stessa continuità della legislatura». Insomma, se si va avanti così, l'unica strada percorribile è quella delle elezioni. L'impressione è che quello del Colle fosse un appello rivolto a tutti, ma nel Pdl sono subito riaffiorati i fantasmi del passato. Quando al Quirinale c'era Oscar Luigi Scalfaro, il presidente della Repubblica che il centrodestra considera protagonista assoluto nel «ribaltone» che portò alla caduta del primo governo Berlusconi. E così, a 24 ore di distanza dalla nota di Napolitano, ecco la risposta dei vertici del Pdl di Camera e Senato. In realtà nel lungo comunicato firmato da Fabrizio Cicchitto, Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello e Massimo Corsaro (capigruppo e vice a Montecitorio e Palazzo Madama ndr) non ci sono riferimenti precisi all'intervento del Capo dello Stato, ma le loro parole contengono un messaggio inequivocabile che è a suo modo una replica: il governo c'è e ha i numeri per proseguire la legislatura. Il voto, insomma, non è un'ipotesi percorribile almeno che non venga meno la maggioranza. «Siamo consapevoli della gravità della situazione - spiegano i quattro esponenti del Pdl -. Essa è innanzitutto determinata dall'azione di opposizioni vecchie e nuove che vorrebbero trarre vantaggio da una minoranza di magistrati i quali, operando in contrasto con il dettato e lo spirito della Costituzione e con le leggi che regolano l'esercizio della giurisdizione a garanzia di ogni cittadino, rischiano di mettere in dubbio il verdetto della sovranità del popolo, fondamento di ogni democrazia liberale». «Questa sovranità - proseguono - attualmente si esplica attraverso un governo legittimo che gode del sostegno della maggioranza parlamentare». E non è affatto vero, sottolineano, che il Parlamento è «bloccato» visto che, «negli ultimi due mesi vi è stata l'approvazione definitiva o parziale della legge di stabilità, della riforma dell'università, del decreto sui rifiuti in Campania, della legge comunitaria, e attualmente vi è in discussione il cosiddetto "milleproroghe"». «Ribadiamo - aggiungono - che nulla possa mettere in discussione il principio secondo il quale solo il venir meno della maggioranza parlamentare rende possibile e anzi doveroso che la sovranità popolare torni ad esprimersi. In questa situazione, non alimentare tensioni e conflitti significa incoraggiare il governo e la maggioranza ad andare avanti e ad operare con determinazione». C'è anche spazio per un riferimento alla «confusione» generata dal doppio ruolo di Gianfranco Fini, ma l'avvertimento è chiaro: non ci sarà spazio per coloro che «ribaltare» l'esecutivo.

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