Stop ai giustizialisti, torna l'immunità
Il punto di non ritorno è il 1993. Il sistema politico italiano prova a resistere alla «furia» di Tangentopoli, ma ogni tentativo appare vano. I processi si celebrano prima nelle piazze che nelle aule dei tribunali. Un avviso di garanzia si trasforma in una condanna. La pressione è tale che il Parlamento decide di modificare l'articolo 68 della Costituzione intervenendo sul meccanismo dell'autorizzazione a procedere. Fino a quel momento, infatti, per sottoporre un membro del Parlamento a procedimento penale, arresto, privazione delle libertà personale, perquisizione personale o domiciliare, occorreva chiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza. Insomma, senza il sì di Montecitorio o Palazzo Madama, il parlamentare non poteva essere processato fino alla fine del suo mandato. Nel 1993 tutto cambiò. L'autorizzazione a procedere venne cancellata e per il Paese si aprì una nuova stagione. Nel frattempo, nell'articolo 68 ha trovato posto anche un riferimento all'autorizzazione per intercettare deputati e senatori, ma nessuno ha più rimesso mano all'impianto complessivo, «figlio» della stagione di Tangentopoli. Fino ad oggi. Il 17 dicembre del 2009, infatti, al Senato è stato despositato un disegno di legge costituzionale per modificarlo. Le firme in calce sono quelle di Franca Chiaramonte (Pd) e Luigi Compagna (Pdl) e già questa è una notizia perché mostra che su un tema così delicato come quello dell'immunità parlamentare, le distanze tra maggioranza e opposizione sono tutt'altro che abissali. Il 12 gennaio 2010 il testo è stato assegnato in sede referente alla Commissione Affari Costituzionali, ma l'esame non è mai iniziato. La modifica introdotta è semplicissima: «L'autorità giudiziaria quando, al termine delle indagini preliminari, ritenga di esercitare l'azione penale nei confronti di un membro del Parlamento, ne dà immediata comunicazione alla Camera di appartenenza, trasmettendo gli atti del procedimento». «Entro il termine perentorio di novanta giorni dalla comunicazione - prosegue il testo -, nel corso dei quali il procedimento è sospeso, la Camera decide se disporre, a garanzia della libertà della funzione parlamentare, la sospensione del procedimento per la durata del mandato». Quando, lo scorso anno, si ricominciò a parlare di immunità parlamentare, la proposta Chiaromonte-Compagna sembrava un ottimo punto di partenza. Tanto che la senatrice democratica dichiarò: «È l'unica proposta in materia di giustizia su cui si può imbastire un dialogo vero». Non sbagliava. Il responsabile riforme del Pd Luciano Violante, raccogliendo alcune sollecitazioni della presidentessa della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno, propose di fissare alcuni paletti: «Deve valere un solo mandato, non può coprire i reati commessi prima dell'incarico e può essere concessa solo a maggioranza qualificata». E anche il presidente dell'Anm Luca Palamara non sembrava ostile: «L'immunità non è un tema su cui si possono fare barricate però bisogna essere chiari: è una scelta politica». In molti, insomma, la consideravano un'alternativa preferibile al Lodo Alfano. Ma non se ne fece niente. Ora si ricomincia da capo. La modifica dell'articolo 68 torna al centro del dibattito politico e a quella di Chiaromonte e Compagna si aggiunge la proposta del deputato Pdl Peppino Calderisi. Che ricalcherebbe il testo dei colleghi nella parte che riguarda il «silenzio-assenso» (se la Camera di appartenenza non si esprime entro il termine di 90 giorni si procede con l'azione penale), ma introduce alcune novità. Come quella secondo cui l'autorità giudiziaria deve dare comunicazione «prima di sottoporre a procedimento penale» - cioè entro 30 giorni dall'iscrizione nel registro degli indagati - un membro del Parlamento. A quel punto la Camera decide se sospendere il processo per l'intera durata del mandato. L'obiettivo è chiaro: cercare di limitare i «processi mediatici» che normalmente si celebrano prima del processo vero e proprio. Calderisi, in realtà, punta ad introdurre anche degli elementi che puntano, come recita il titolo della proposta, ad «assicurare governabilità del Paese». Tra questi la possibilità che, se sfiduciato, il premier possa entro 7 giorni presentare le dimissioni o la richiesta di elezioni anticipate che «sono indette dal Capo dello Stato». Anche se il deputato subito spiega: «La riforma che ho messo a punto non si applica al governo in carica».