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Fini si autosospende

Gianfranco Fini

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Fini sarà eletto presidente, salirà sul palco e annuncerà l'autosospensione. È l'ultima soluzione che hanno inventato quelli di Futuro e Libertà. Che poi è il sintomo reale dell'incartamento a cui è arrivato un partito che ufficialmente deve ancora nascere e già lotta per non essere un abortito: eleggeranno un capo che per ora non può fare il capo, ma non cede lo scettro. Alt, non s'è capito nulla? Normale quando si tratta dei finiani. Ricapitoliamo. Fini vuole essere eletto leader del suo partito. Avrebbe potuto lasciare la casella vuota, ma non sarebbe stato un bel segnale interno. Oppure avrebbe potuto far eleggere qualche sua derivazione, tipo Adolfo Urso. Ipotesi scartata. E questo è segno di quanto di fidi dei suoi uomini di fiducia. Allora, sia eletto presidente lui. Lui, Gianfranco Fini. Anche se una soluzione del genere il presidente della Repubblica la considera a dir poco indigesta. E si capisce. Quando lui, Giorgio Napolitano, venne eletto presidente della Camera sciolse proprio la sua componente (che poi venne ricostituita da altri). Ora si assiste al processo inverso. Diciotto anni dopo un suo successore fonda un partito e se ne mette alla guida. Si sarebbe voluto dimettere lunedì, lo farà domenica stessa. Sono stati in vari in questi giorni a cercare di far desistere l'ex cofondatore del Pdl ad avventurarsi su una strada così complicata e istituzionalmente indifendibile. E così, come prima decisione è sparito il nome «Fini» dal simbolo che campeggerà durante la tre giorni meneghina: tornerà dopo. Politicamente il congresso dovrebbe consegnare un Fli pendente a sinistra. Tanto per avere un'idea basti pensare agli inviti speciali che sono stati immaginati. Flavia Perina ha annunciato che uno voleva recapitarlo a Fiorella Mannoia, la cantante di sinistra (a dicembre scorso era sul palco della manifestazione del Pd e voleva dare il premio Nobel a Gino Strada) che a ottobre 2009 aveva scritto una lettera aperta a Fini chiedendogli di mettersi alla guida di una «destra moderna». Un altro sembrava destinato alla regista Cristina Comencini, anche lei non certo di simpatie berlusconiane. Difficile che si presentino ma il fatto che siano entrate nella lista dei possibili invitati dimostra come il partito finiano stia diventando una sorta di satellite del Pd. L'ala destra del mondo dalemiano. L'organigramma del congresso è la fotografia dei rapporti di forza interni alla formazione. E immortalano come l'ala moderata sia stata sempre più messa da parte. Alla presidenza tanto contesa della commissione Cultura ci andrà Umberto Croppi, l'ex assessore capitolino fatto fuori da Alemanno e che ha cominciato a togliersi qualche sassolino dalla scarpa: archiviato Luca Barbareschi. Alla commissione Legalità andrà Fabio Granata, a quella Welfare Benedetto Della Vedova, a quella Innovazione Enzo Raisi. Al leader dell'ex Area nazionale Roberto Menia andrà la commissione Ambiente visto che di quel settore è stato sottosegretario. Al finiano critico tendenza borbottìo Donato Lamorte la commissione Statuto. Alla commissione Programma invece andrà Mario Ciampi, direttore di Fare Futuro. Quello scientifico, Alessandro Campi, invece non ci sarà. E non ci sarà anche un'altra farefuturista come Sofia Ventura. Entrambi sono comunque già stati archiviati da Granata: «Premesso che non ci servono intellettuali organici, ritengo che un forza politica debba misurarsi sulle politiche culturali portate avanti in Parlamento e sul territorio». Addio moderatismo, addio anche riferimenti alla destra visto che Campi comunque proviene da quel mondo. Si naviga verso sinistra. Senza ammetterlo, senza confessarlo, smentendolo in pubblico e praticandolo in privato. E le alleanze alle prossime amministrative saranno il primo, evidente banco di prova. Fli guarda sempre con maggiore interesse alle intese locali con il centrosinistra. E anche questo è il segno evidente di un fallimento. I futuristi si erano proposti come coloro che avrebbero portato in politica quelle personalità civili che avevano trovato ostruiti gli spazi, soprattutto nel Pdl, dalle Minetti di turno. A Milano, come candidato a sindaco, s'era pensato a Gabriele Albertini ma è arrivato un no. Poi a Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio: altro rifiuto. In pista non c'è ancora nessuno. E finora non si è visto un nome nuovo. Altro tema è i soldi. O meglio, la sua mancanza. Stasera festa riservata organizzata da Bocchino con venticinque finanziatori. Un po' pochini per cominciare.

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