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Tutti pensano all'inchiesta E alla Camera restano in tre

L'aula della Camera dei deputati

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Nicodemo Oliverio comincia a parlare in Aula alle 10.45. «Onorevole presidente, onorevoli colleghi». Si blocca per un secondo, si guarda intorno. Su 630 deputati ce ne sono tre. Compreso lui. Tre «onorevoli colleghi» in un giovedì mattina. Oliverio non ci bada, continua la sua interpellanza urgente sull'etichetattura dei prodotti agricoli. Accanto a lui, sempre del Pd, ci sono gli altri due deputati. Sui banchi del governo siede il sottosegretario alla Salute Francesca Martini, che deve rispondere a Oliverio. Presiede Maurizio Lupi che non fa una piega, chiede soltanto «brevità negli interventi». Un tempo il Transatlantico si svuotava il venerdì. Già la sera prima era un viavai di trolley, quelli dei parlamentari che fanno i pendolari. Ma, appunto, la sera. Ora, in una legislatura appesa alle inchieste delle Procure, è festa anche il giovedì mattina. Sì, perché tutti pensano a Ruby, ai pm, ai rinvii a giudizio. Cercano di capire che succede. Qui in gioco c'è il loro futuro, mica soltanto quello di Berlusconi. Ecco dunque che in un giorno feriale almeno 620 deputati hanno deciso di non presentarsi a Montecitorio. Che non significa non aver lavorato, per carità: chissà quanti saranno stati impegnati in compiti decisivi per il Paese. Ieri mattina anche fuori dall'Aula i deputati che si aggiravano per il Palazzo si contavano sulle dita di una mano. «Un cappuccino caldo senza schiuma e una brioche»: Arturo Parisi approda alla buvette. Passeggia e telefona Giuseppe Fioroni. Prima dell'intervento di Oliverio, intorno alle 10 e 30 aveva presentato la sua interpellanza urgente Michele Traversa del Pdl. Una questione rilevante. Il parlamentare aveva spiegato che all'Agenzia per l'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata «si sarebbe svolta la selezione a mezzo di procedura comparativa per il conferimento di quattro incarichi di collaborazione coordinata e continuativa». Ebbene non ci sarebbe stata la dovuta trasparenza. Tutt'altro. Almeno questo è il dubbio che avanza il deputato calabrese del Pdl, che ha denunciato come «tra i candidati in graduatoria entro l'ottavo posto» rientrerebbero parenti e amici di politici locali. A rispondere è stato il sottosegretario al ministero dell'Interno, Michelino Davico, che ha assicurato il rispetto di tutte le norme per le assunzioni all'Agenzia. Traversa s'è detto «insoddisfatto» della replica del governo. Succede. Ancora prima aveva parlato Stefano Esposito del Pd: aveva chiesto lumi su alcune dichiarazioni del presidente delle Ferrovie dello Stato, Moretti. Aveva risposto il sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti Bartolomeo Giachino, interrogato anche da Mauro Pili (Pdl). Niente di stressante. Una riunione in discesa, un dibattito tra pochissime persone, finito ben prima dell'ora di pranzo. Sotto gli occhi, tra l'altro, degli studenti di una scuola. Eppure i deputati guadagnano 15 mila euro al mese per occuparsi del Paese. Hanno privilegi e indennità che tutti gli altri cittadini sognano. Ma tant'è. E non c'è proprio niente da fare. Se a questo si aggiunge che le prossime scadenze (federalismo e decreto milleproroghe) probabilmente saranno voti di fiducia, allora si capisce che non ci sarebbe bisogno di 630 deputati. Ne basterebbero molti di meno. Ma nemmeno di questo si parla più in quest'Italia impegnata a sbirciare dal buco della serratura.

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