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"Contro di me metodi da Ddr"

Silvio Berlusconi

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Linea istituzionale dentro il Palazzo, fuoco e fiamme fuori. Silvio Berlusconi mette da parte il decreto sulle intercettazioni telefoniche, evita di salire sul Colle per non politicizzare la Giornata del Ricordo. Ma questo non vuol dire che abbia deciso di mettere da parte la battaglia. Al contrario. La vuole portare avanti con altre forme. Manda avanti Franco Frattini: «C'è una violazione della privacy che può essere portata non solo davanti a un tribunale italiano, ma credo anche dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo». Assicura il ministro degli Esteri che nel merito «c'è una giurisprudenza molto ricca». Lui, il Cavaliere, resta barricato a palazzo Grazioli tutto il giorno. È furioso soprattutto per ciò che sta venendo fuori dall'inchiesta di Napoli. I pm partenopei stanno indagando su un giro di droga e prostituzione e saltano fuori fiumi e fiumi di intercettazioni telefoniche, messaggi, frasi di Sara Tommasi in larga parte inverosimili. Ma non conta. Importa che tirino in ballo Silvio, il fratello Paolo, la figlia Marina senza che costoro siano indagati e senza che in queste ultime comunicazioni compaia lo straccio di un reato. Per questo il premier affida il suo sfogo stavolta al Foglio, sfogo raccolto dal direttore Giuliano Ferrara che è andato a trovarlo nella sua residenza romana e che sarà pubblicato oggi. Il Cavaliere confessa: «Io, qualche volta, sono come tutti anche un peccatore». Poi attacca: «Ma la giustizia moraleggiante che viene agitata contro di me è fatta per mandare al potere attraverso un uso antigiuridico del diritto e della legalità, l'idea di cultura, di civiltà e di vita, di una elite che si crede senza peccato, il che è semplicemente scandaloso, è illiberalità allo stato puro». E ancora: «Come è avvenuto a Milano, scelgono insieme i tempi e i modi per trasformare in scandalo internazionale inchieste farsesche e degne della caccia spionistica alle vite degli altri che si faceva nella Germania comunista», dice Berlusconi. Per il premier è in atto un tentativo di «golpe morale», ma garantisce: «Non ce la faranno, intanto perché c'è un giudice a Berlino, e io ho fiducia di trovarlo, e poi perché in una democrazia il giudice di ultima istanza, quando si tratta di decidere chi governa, è il popolo elettore e con esso il Parlamento, che sono i soli titolari della sovranità politica». «I padri costituenti - ragiona il Capo del governo - avevano stabilito saggiamente che prima di procedere contro un parlamentare si dovesse essere certi, attraverso un voto della sua Camera di appartenenza, che si era liberi dal sospetto di accanimento o persecuzione politica. Era un filtro tra i poteri autonomi dell'ordine giudiziario e la sovranità e autonomia della politica. Io ho già affrontato vittoriosamente decine di processi e affronterei serenamente qualsiasi altro processo. Da cittadino privato me la caverei senza problemi, con accuse così ridicole. Ma io resisto perché, come sempre nella mia storia, l'attacco al mio privato è in realtà un attacco al ruolo pubblico che svolgo, alla mia testimonianza democratica». «Chi, come voi dite, predica una Repubblica della virtù, con toni puritani e giacobini, ha in mente una democrazia autoritaria - afferma Berlusconi -, il contrario di un sistema fondato sulla libertà, sulla tolleranza, su una vera coscienza morale pubblica e privata. Io, qualche volta, sono come tutti anche un peccatore, ma la giustizia moraleggiante che viene agitata contro di me è fatta per "andare oltre" me, come ha detto il professor Zagrebelsky al Palasharp. È fatta per mandare al potere attraverso un uso antigiuridico del diritto e della legalità, l'idea di cultura, di civiltà e di vita, di una elite che si crede senza peccato, il che è semplicemente scandaloso, è illiberalità allo stato puro». Quindi il capitolo Udc. Montecitorio è deserto, c'è solo in un corridoio una riunione di parlamentari campani assieme al coordinatore Nicola Cosentino e il presidente della Regione Stefano Caldoro. Qualcuno porta un messaggio del premier: fuori tutti gli Udc dalle giunte. In realtà la situazione è complessa. Gli uomini di Casini sono al governo a Napoli e all'opposizione a Roma. Caldoro sta per varare le nomine nella Sanità e nei Trasporti e si potrebbero verificare situazioni paradossali. Per esempio, potrebbe essere nominato un uomo centrista a Benevento che sarebbe dunque alleato di Pasquale Viespoli, uomo di Fli, e il coordinatore provinciale del Pdl, Nunzia Di Girolamo, si potrebbe trovare personalità che non rispondono al partito del premier. Per questo il ragionamento è: o i centristi entrano nel Pdl o giurano fedeltà oppure fuori. Si tratta più di un pressing che di un ordine di scuderia. Tanto basta per far scatenare una polemica furibonda. Pier Ferdinando Casini non la prende bene e s'inalbera: «È una cosa quasi ridicola, perché se lui ritiene che i presidenti delle giunte, che hanno consapevolmente accettato in modo determinante il sostegno dell'Udc, vogliano esportare i ribaltoni in tutte le regioni italiane, io penso che si dimostrerebbero i camerieri di Arcore ma non sono camerieri di Arcore tutti questi presidenti delle giunte regionali».

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