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E la sinistra si aggrappa al Carroccio

Umberto Bossi

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Dopo Gianfranco Fini, Umberto Bossi.È lui il nuovo idolo della sinistra italiana. E poco importa se, fino a poco tempo fa, la Lega era una sorta di «forza eversiva» che lavorava per distruggere l'unità del Paese. In questo momento il Senatùr e i suoi appaiono come gli unici veramente in grado di staccare la spina a Silvio Berlusconi. Così le opposizioni si attaccano al Carroccio. Non è una novità. Era già accaduto nel 1994, quando il Pds cominciò a corteggiare i leghisti che divennero i protagonisti della prematura caduta del primo governo Berlusconi. Allora Massimo D'Alema spiegava che il Carroccio era «una forza a suo modo di cambiamento e "popolana"», «rappresenta un mondo che può essere interessato alla nostra proposta di un nuovo patto sociale». E Walter Veltroni aggiungeva: «Non escludo che il Pds possa percorrere un tratto di strada insieme alla Lega su due "vie", quella di una certa idea di federalismo e quella di una certa idea delle regole della democrazia. Sono due cose concrete e su questi punti c'è materia per intendersi e, perché no, fare un tratto di strada insieme. Penso che ci siano più cose che ci uniscano di quante ci dividano». Diciassette anni dopo la musica è sempre la stessa. Pier Luigi Bersani lo ha detto chiaramente venerdì, aprendo i lavori dell'Assemblea Nazionale del Pd a Roma: «Alla Lega dico che il federalismo non lo farete mai con Berlusconi, perché a lui non interessa il federalismo, ma i vostri voti, e li userà per il processo breve o per difendere la "cricca di Roma"». Concetto ripetuto ieri: «In Italia, sia pur da posizioni diverse e alternative, ci sono solo due partiti con una vocazione autonomista, la Lega e noi. Per questo per fare una riforma vera dico alla Lega: "fermatevi, perché con Berlusconi il federalismo va contro un muro" ed invece bisogna riaprire il confronto e creare le condizioni politiche per una vera riforma». Insomma, incapaci di costruire una proposta alternativa convincente, i Democratici cercano di tirare Bossi dalla propria parte. E non stupisce che Repubblica, il quotidiano che più di altri influisce sulla linea politica del Pd, parli la stessa lingua. «Bossi - ha scritto ieri nel suo editoriale il direttore Ezio Mauro - per ora si aggrappa alla bandiera slabbrata di un federalismo monco e zoppo, partito malissimo e senza respiro con questa maggioranza rappattumata nel mercato d'inverno e una leadership a fine corsa. Ma quanto può durare? Per un piatto di lenticchie la Lega sta cuocendo nel brodo indigeribile degli scandali berlusconiani, tra le manovre di palazzo di un leader che perde ogni giorno lucidità e credibilità, e tira a campare come nella più tarda età democristiana». Tradotto per i comuni mortali: se la Lega vuole il federalismo, si sbrighi a disarcionare il «Cavalier morente». Un po' lo stesso messaggio che invia al Senatùr Antonio Di Pietro: «È necessario che la Lega si renda conto che con Berlusconi il federalismo non si realizzerà mai, quello vero almeno, ma si realizzerà quello del compromesso, quello di facciata che, appunto, come in questo caso, aumenta le tasse». Ma la «manovra di accerchiamento» non sarebbe completa senza il contributo indispensabile di Fli. Venerdì sera era stato il «falco» Fabio Granata a lanciare il suo appello: «Dopo lo stop di Napolitano, cosa aspetta la Lega a prendere atto che il berlusconismo è finito? Per riformare e modernizzare l'Italia serve aprire una pagina nuova e costituente nella quale la Lega può essere, insieme a noi e alle altre forze politiche, protagonista». E ieri il premier in persona ha rincarato la dose: «In tutti questi giorni hanno continuato a dire a Bossi "se lasci Berlusconi noi ti diamo il federalismo", anche Fini ha fatto lo stesso. Bossi mi ha raccontato dell'incontro che ha avuto con il leader di Fli, ma non c'è alcun timore che la Lega possa dismettere l'accordo fondato sul programma che ha con noi». La sinistra, però, continua a corteggiare Umberto. In fondo, si sa, la speranza è l'ultima a morire.  

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