Bossi chiama il Colle: "Andremo in aula"
L'Umberto se lo aspettava. Una reazione del Capo dello Stato sul decreto del federalismo municipale l'aveva messa in conto. Ma, di certo, non si aspettava un affondo così deciso. Il «non possumus» di Giorgio Napolitano costringe, così, il leader della Lega Umberto Bossi a modificare la strategia concordata giovedì con Silvio Berlusconi e a correre ai ripari. Ma questa volta i toni rimangono pacati. Il Senatùr scende in campo. Prima media con Berlusconi, poi chiama direttamente Napolitano. Una telefonata tranquilla durante la quale il leader del Carroccio ha voluto rassicurare il Colle del pieno rispetto della sovranità del Parlamento spiegando che la scelta di portare in Cdm il testo per l'approvazione, dopo che la bicamerale sul federalismo aveva respinto il parere della maggioranza, è stata dettata dall'esigenza di dare un segnale politico immediato sulle intenzioni del governo di portare in porto la riforma. E, mentre, il Senatùr cercava di rasserenare i rapporti con il Quirinale anche il ministro per la Semplificazione ha voluto, da Palazzo Chigi, spendere parole di elogio per il presidente della Repubblica, «aprendo» a un ulteriore passaggio parlamentare del decreto. Un concetto ribadito quasi in tempo reale con una nota nella quale veniva ribadita «l'intenzione di andare a riferire alle assemblee parlamentari». Una decisione confermata dai capigruppo Federico Bricolo e Marco Reguzzoni: la richiesta del Colle sarà «prontamente esaudita dal governo». I leghisti, dimostrando così di non voler riaccendere lo scontro istituzionale con il Colle, sono riusciti a mandare un chiaro messaggio all'opinione pubblica: sul Federalismo nessuno vuole tentare il golpe o pensa di mettere in atto delle prove di forza. Che qualcosa sarebbe andato storto, però, era nell'aria già dalla mattinata quando lo stesso Bossi aveva deciso di non prendere parte alla conferenza stampa convocata a Palazzo Chigi con Giulio Tremonti e Roberto Calderoli. Un incontro che, comunque, ha permesso ai due ministri di ribadire le posizioni della maggioranza sul testo. Una «svolta storica» l'ha definita il responsabile dell'Economia che poi ha voluto mettere la faccia in prima persona esaltando la riforma come «la più grande mai iniziata in questo Paese nell'ultimo decennio» e che da avvio all'era del «vedo, pago, voto». È invece Calderoli a scendere nel dettaglio e a spiegare quale sarà l'iter della riforma: «L'unica cosa che prevede la legge è che il governo dia comunicazioni alle Camere, dopo di che può esserci un voto su di esse ma il testo è quello e non è suscettibile di modifiche». E tutto ciò dovrebbe accadere entro «una o due settimane a seconda della disponibilità del Parlamento». Poi, ipotizzando anche la possibilità di porre la fiducia su nuovi documenti che saranno presentati, si sfoga: «Non ho nessun timore di andare in Aula, sono orgoglioso della nostra riforma che sarà approvata». Ma se la strategia dei leghisti «romani» era quella di tenere bassi i toni con il Colle, i «fedeli» di Alberto da Giussano impegnati al Nord hanno manifestato la loro insofferenza. Ai microfoni di Radio Padania il malcontento era evidente ma anche i dirigenti delle tre regioni roccaforti del Carroccio, non hanno risparmiato commenti negativi. Il vicesindaco «sceriffo» di Treviso, Giancarlo Gentilini, non ha usato mezzi termini. A suo giudizio sarebbero state «le grandi ideologie del passato a far decidere Napolitano per il diniego». Caustico anche il commento di Gianantonio Da Re, segretario provinciale della Lega di Treviso: «Manca solo che Giorgio Napolitano vada in trasmissione da Santoro, poi le abbiamo viste tutte». E se il vicepresidente della Lombardia, Andrea Gibelli si è detto preoccupato che lo stop al Federalismo possa incidere negativamente sull'economia, il sindaco di Asti, Giorgio Galvagno, anche in veste di responsabile dei servizi pubblici locali dell'Anci, ha espresso apprezzamento per la decisione del Governo di andare avanti: «Il federalismo garantisce un equilibrio su tutto il territorio nazionale in modo da rafforzare l'unità e la coesione sociale dello Stato».