Il flop dei finiani
Un altro no. E stavolta è anche più pesante degli altri. Umberto Ambrosoli ha detto no a Fini, non si candiderà a sindaco di Milano. Doveva essere l'asso nella manica. Il figlio dell'eroe borghese, il figlio di quel Giorgio Ambrosoli che fu commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, la banca di Sindona e finì ammazzato nel luglio del 1979 per volere della mafia. Non scenderà in campo. Pochi giorni fa ha comunicato ai vertici di Fli che non ha intenzione di candidarsi per il Terzo Polo. Doveva essere il simbolo di un'Italia diversa, il simbolo della battaglia per la legalità. L'Italia moderata, silenziosa e laboriosa. l'Italia per bene. Era anche intervenuto dal palco di Bastia Umbra: «Il nostro non è un Paese dove la legalità viene vissuta come un'opportunità», disse il 6 novembre. Si indignò per il fatto che in Italia ci si accalorasse per una partita di calcio ai Mondiali e non si facesse altrettanto perché la Danimarca fosse ben 66 posizioni davanti a noi nell'indice di percezione della corruzione. Parlò della nascita di un nuovo movimento come una «bellissima avventura». E la sfida ora era di quelle delle grandi occasioni: la corsa a sindaco di Milano. Ambrosoli invece non ci sta. O forse sarebbe meglio dire: non ci starebbe. È possibile che una telefonata di Gianfranco Fini riesca a fargli cambiare idea. È possibile che il pressing riesca a provocargli un sussulto. Ma se ciò non accadrà sarà un duro colpo per Fli. Che ha già subito un pesante no a dicembre quando Gabriele Albertini, proprio il predecessore della Moratti, con una lettera ai big del polo centrista ha detto no alla sfida all'attuale primo cittadino. Eppure sembrava pronto. Si era anche dichiarato pronto a essere della partita qualora alle primarie del Pd avesse vinto il candidato della sinistra estrema, Giuliano Pisapia. E così è stato. Fini e Casini erano certi che Albertini sarebbe sceso in campo mettendo seriamente in difficoltà il centrodestra nella città di Berlusconi. Niente, l'ex sindaco ed ex presidente di Federmeccanica ha detto no. Nuovo pressing allora su Ambrosoli, che pure sembrava pronto. I futuristi stavano anche preparando il grande annuncio previsto per febbraio, dall'11 al 13 infatti si terrà proprio nel capoluogo meneghino, il primo congresso di Futuro e Libertà. Forse anche il progetto del nuovo partito dovrà subire un ripensamento. Basti guardare il gruppo parlamentare alla Camera. È arrivato ad avere anche 38 componenti, oggi ne ha 32: sono andati via Souad Sbai, Giuseppe Angeli, Silvano Moffa, Catia Polidori, Giampiero Catone e Maria Grazia Siliquini. Per non parlare di Luca Barbareschi, che ieri ha fatto su è giù nel listino delle poltrone. Veniva dato per certo il suo addio con conseguente adesione ai «responsabili». Poi la smentita, la correzione. Quindi la precisazione. E tutto il giorno è un andare su e giù. Va, resta. Resta, va. Poi convocazione nell'ufficio di Fini, dove arrivava anche Casini. E per il momento Barbareschi resta dentro Fli. Per ora.