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Così corrono verso le elezioni

Silvio Berlusconi

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La situazione è grave e per una volta anche seria. L'opposizione ha risposto picche all'offerta del presidente del Consiglio di discutere insieme un programma di riforme economiche. C'era da attenderselo, ma il modo e le argomentazioni sono la prova che né al Pd né tantomeno ai suoi compagni di viaggio interessa il Paese. Ai democratici va bene un'unica soluzione: un governo non più guidato da Berlusconi che non esce dalle urne. In questo scenario si tratta di un'opzione impossibile, ma ai democratici da qualche decennio difetta quell'ingrediente della politica che si chiama realismo. Così la situazione di scontro permanente diventerà sempre più incandescente, fino al punto che le elezioni anticipate resteranno l'unica via d'uscita possibile sul tavolo di un wargame termonucleare che rischia di annientare tutti. Attenzione, Berlusconi non vuole il voto a tutti i costi, non è quella la sua prima scelta. La mossa di inviare una lettera aperta all'opposizione è stata intelligente, ha messo i democratici di fronte alle proprie responsabilità e fatto comparire nel bancone della politica il cocktail ad altissima gradazione composto da una magistratura scatenata nella caccia al premier, da un circuito dell'informazione che gioca euforicamente al tiro al bersaglio e da un Pd incapace di avere una propria linea autonoma dai giudici. Questo è l'intruglio che ci sta portando alle urne. Aprire ora un ciclo elettorale non è auspicabile, ma la parabola impressa dall'azione dei magistrati sembra non lasciare scampo al Cav. La richiesta di rito abbreviato per Berlusconi arriverà in pochi giorni, le rivelazioni sugli atti della magistratura sono a getto continuo, il circuito mediatico che ruota intorno al girotondo delle toghe funziona da megafono per mobilitare la massa giustizialista. Vedremo presto il risultato di questa gigantesca operazione di delegittimazione. Non c'è un piano per il «dopo», ma un chiarissimo obiettivo per «l'ora e subito»: il disarcionamento del Cavaliere a tutti i costi. Poi si vedrà. Si tratta di un'operazione di puro avventurismo che non ha un padrino unico, ma molti sostenitori dalla visione piccola piccola. Nessuno ha capito che una transizione verso il 2013 non può essere studiata a tavolino contro Berlusconi, ma concordata e messa in campo insieme a Berlusconi. Cinque decenni di cultura politica democristiana e comunista sembrano non aver insegnato niente a nessuno. Così le opposizioni vanno in ordine sparso contro un muro di titanio e il blocco Pdl-Lega si chiude nel fortino, resiste finché ci sono i numeri, poi a un certo punto deciderà di andare al voto per provare a spianare tutto. La nitroglicerina al confronto è un grappino infiammabile, qui invece siamo di fronte a una Santa Barbara ad altissimo potenziale che rischia di far saltare in aria tutto il sistema politico. Non a caso dietro le parole di Berlusconi c'è una rabbia di fondo che non si contiene perché tra la possibilità di mettere in piedi un progetto di riforme bipartisan e la forca issata in piazza, l'opposizione sceglie di sostenere l'operazione giacobina, senza neppure andare a vedere le carte del Cavaliere. È un bruttissimo segnale. Per tutti. L'exit strategy non c'è perché il clima percepito dal Palazzo, non quello reale nel Paese è viziato dal pregiudizio e dal fatto personale in entrambi gli schieramenti. Quello della politica è un club che si muove in base a riti consolidati e autoreferenziali. I partiti del Comitato di Liberazione Nazionale da Silvio pensano che il bauscia di Arcore sia agli sgoccioli, che il maglio perforante della magistratura stavolta abbia sfondato la carlinga del cacciabombardiere con le insegne del Biscione. Non è così, ma questo allo stato dell'arte ha poca importanza. L'operazione Craxi di cui ho scritto qualche giorno fa, va avanti, è indipendente dalla realtà. Non importa se Berlusconi ha più del doppio dei voti del Partito socialista di craxiana memoria e non è decisivo il fatto che il Cavaliere per tutti i sondaggi è ancora l'unico leader possibile per un Paese sull'orlo di uno sbrego istituzionale tra Nord e Sud. Ha ragione il ministro Angelino Alfano quando dice «non abbiamo perso il voto dei cattolici». Gli oppositori di Berlusconi dimenticano che il berlusconismo è un fiume carsico della società italiana, che il nostro Paese non è luterano ma cattolico, che i puritani da noi non hanno mai avuto fortuna e i moralisti alle vongole vengono spernacchiati appena girato l'angolo. Paragonare come è avvenuto ieri sera a L'Infedele di Gad Lerner Berlusconi a Erode e accostarlo ai dittatori del Nord Africa e del Medio Oriente non fa muovere alcun passo in avanti verso la soluzione della crisi e il cambio di scenario per il Paese. Comprendere le ragioni dell'avversario serve a preparare la vittoria futura. Questo nel campo dell'opposizione «bobò», borghese e bohemienne, salottiera e ciarliera, un po' caviar e tanto traviar, è una rarità. Fare con sprezzo del ridicolo, come ha fatto Italo Bocchino, un parallelo tra un leader democraticamente eletto e l'ormai ex dittatore tunisino Ben Alì, forse regala un titolo di giornale, ma non produce un'analisi credibile agli occhi di chi magari è incerto o in ogni caso vuole capire cosa si apparecchia per il futuro. È questo scenario che non torna nei conti della sinistra postcomunista, dei centristi che non hanno imparato la lezione della Dc e dei finiani ex destri dispersi, è questa la ragione profonda per cui da diciassette anni sbagliano la radiografia del berlusconismo. Lo combattono con la bava alla bocca e la baionetta, ma senza un briciolo di cervello. Certo, la prossima volta rischiano anche di vincere le elezioni per logoramento dell'avversario e martellamento giudiziario sulle mutande ad apertura rapida del Cav, ma in realtà cinque minuti dopo la vittoria hardcore, i nemici di sempre si ritroveranno ancora una volta con i problemi di sempre, che si traducono in una sola parola: ingovernabilità.  

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