"Chi governa sia esempio nel privato"
Ci vuole amministrazione della giustizia, altrimenti non vi è «nessuna società, nessuna convivenza», ammonisce Angelo Bagnasco, numero uno della Cei. Mentre Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, sottolinea che «tutti attendono esemplarità, nel pubblico e nel privato, da coloro che guidano il Paese». Nel giorno di inaugurazione dell'anno giudiziario e di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, gli interventi dei due porporati rappresentano la prova concreta che i vescovi italiani hanno deciso di non nascondere la loro preoccupazione per quanto sta accadendo nel panorama nazionale. Da poco è terminato un Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana durante il quale la linea interventista ha prevalso: ciò che accade nel Paese riguarda anche i vescovi. Spinti anche dalle richieste sempre più pressanti dei fedeli: alcuni, di fronte alle parole di Bagnasco, si sono lamentati che l'arcivescovo di Genova non abbia preso pubblicamente le distanze da Silvio Berlusconi. Non ci sarà nessuna sconfessione pubblica. Lo richiede una delicatezza diplomatica (il governo mostra molta attenzione alla Chiesa, e da poco nel provvedimento sul federalismo fiscale è ri-comparsa l'esenzione dell'ex Ici anche per i luoghi non di culto) e anche la volontà di non fare ingerenza nella questione politica. Non puntano alle elezioni anticipate, i vescovi. Puntano, però, ad un clima più sereno. Bagnasco, nella prolusione al consiglio permanente, ha avuto in fondo parole critiche anche nei confronti della magistratura. Bagnasco dice Messa nella cattedrale di Santa Caterina, prima di recarsi all'inaugurazione dell'anno giudiziario. Davanti a lui, magistrati e rappresentanti delle forze armate. Non fa riferimenti diretti alla cronaca politica e giudiziaria degli ultimi giorni. Sottolinea, però, che senza la giustizia, tutto è «opinione, soggettività, desiderio, istinto, interesse». Aggiunge: «Senza l'amministrazione della giustizia non vi è nessuna società, non vi è nessuna convivenza». Il cardinale si rifà al motto vaticano dell'unicuique suum tribuere, e ricorda che «giustizia significa riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto» e questo, spiega il cardinale, comporta la «capacità di riconoscere la natura delle cose e di riconoscere il bene delle persone». Bagnasco dice di stimare chi si occupa di giustizia. E invoca «l'aiuto dello Spirito Santo perché possiamo essere tutti quanti, indipendentemente dal ruolo di ciascuno, uomini di giustizia». Parole che ricordano la prolusione del Consiglio Permanente, quando il cardinale non puntò il dito solo sulla situazione politica, ma anche su tutte le contingenze che avevano portato a quella che lui chiamava «desertificazione valoriale». Più diretto è invece l'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, che incontra i giornalisti e sottolinea che tutti si aspettano «esemplarità» pubblica e privata da coloro che guidano il Paese. Tettamanzi mette in luce un altro degli argomenti di cui si è discusso in Consiglio Permanente. Posto il degrado morale, perché si discute solo di quello e non di quanto è necessario per il Paese? «I problemi veri del nostro paese – afferma il prelato – non sono certo quanto da mesi leggiamo nelle cronache politiche. Da tempo non sono in discussione i temi che dovrebbero realizzare il bene comune adesso, in questo delicato frangente storico, dentro questa congiuntura economica segnata pesantemente dalla crisi». Di temi da mettere sul tavolo i vescovi ne hanno molti: hanno mostrato una certa preoccupazione perché il federalismo sia «solidale», chiedono il quoziente famigliare per le famiglie, puntano ad una maggiore attenzione verso le scuole paritarie in nome del diritto dei genitori di far studiare i figli secondo i principi che preferisce, aspettano che termini l'iter della legge sul fine vita. Posto che non si devono tacere «gli scandali, veri o presunti», dice Tettamanzi, è pur vero che «l'informazione politica non può, non deve esaurirsi al racconto di scandali». Solo il racconto, dunque, «e non una valanga di fatti brutti, esibiti in nome del diritto di informazione senza tener conto degli effetti che produrranno sulle persone, può costituire la condizione di quello scambio di esperienze che è alla base della comunicazione autentica». Ma Tettamanzi lancia un monito anche agli operatori di informazione. «Se il giornalismo - dice - cederà completamente alle logiche di potere, si degraderà fino all'irrilevanza, come è stato per altre funzioni un tempo fondamentali della società».