Carta che canta non interessa
Alla Procura di Roma la lettera che conferma che Giancarlo Tulliani, il cognato di Fini, è il proprietario della casa di Montecarlo non interessa. E per questo ha ribadito la sua richiesta di archiviazione dell'inchiesta nei confronti del presidente della Camera e dell'ex tesoriere di An Francesco Pontone. In un documento depositato ieri al Gup, i pubblici ministeri hanno spiegato che il «contenuto» degli atti trasmessi dal governo di Santa Lucia, rispetto alla vendita della casa di An a Montecarlo, «appare del tutto irrilevante circa il "thema decidendum", giacché la richiesta di archiviazione formulata da questo ufficio è fondata, quale che sia il reale acquirente dell'immobile, sulla mancanza di elementi costitutivi dell'ipotizzato delitto di truffa». I magistrati sottolineano poi che Fini «all'epoca della vendita era amministratore esclusivo dell'associazione/partito Alleanza nazionale, con tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, sicchè il predetto, in autonomia, ha deciso e disposto la vendita dell'appartamento, senza artifizi e/o raggiri e senza induzione di terzi in errore». I pm parlano anche di Francesco Pontone, l'ex tesoriere di An, spiegando che «nessun ruolo penalmente rilevante può assumere, infine, la condotta del senatore Pontone, il quale, nel caso in esame, ha rivestito la mera figura di mandatario dell'onorevole Fini, firmando l'atto notarile di compravendita alle condizioni indicate dal mandante ed in virtù di procura generale a lui conferita dal presidente Fini stesso». Per, tutte queste ragioni, concludono i magistrati, viene ribadita la richiesta di archiviazione. I documenti inviati da Santa Lucia – ricordano ancora i pubblici ministeri – consistono in una «nota riservata e confidenziale del primo ministro dello stato di Santa Lucia che, in risposta a richiesta dell'autorità ministeriale italiana, le inviava copia di comunicazione strettamente riservata già intercorsa tra la Procura generale del governo di Santa Lucia ed il predetto primo ministro, in relazione all'appartenenza delle società off-shore Printemps Ltd, Timara Ltd e Jaman Directors Ltd, tutte con sede in Santa Lucia, oggetto di articoli di stampa». Ma se da un punto di vista giudiziario Gianfranco Fini può tirare un sospiro di sollievo, sul versante politico la sua posizione è sempre più in bilico. Perché il video in cui, il 25 settembre dell'anno scorso, promise che si sarebbe dimesso se fosse stato accertato che la casa di Montecarlo era del cognato, lo inchioda a responsabilità ben precise. E il centrodestra, in questa guerra totale scatenata dalle Procure di mezza Italia, non è disposta a chiudere un occhio. Il ministro per i Beni culturali Sandro Bondi ieri ha ripetuto che il presidente della Camera deve lasciare il suo incarico perché non garantisce più il criterio di imparzialità. «È stato lo stesso Fini a dire che se le notizie sulla casa di Montecarlo fossero state vere, si sarebbe dimesso – ha spiegato il ministro – È di fronte agli occhi di tutti, anche dell'opposizione, che non si può essere capo di un partito e presidente della Camera. Non è mai avvenuto nella storia del nostro Paese. Oltre tutto un presidente della Camera chiede le dimissioni del presidente del Consiglio. Non si era mai visto». Rabbiosa la reazione di Italo Bocchino, capogruppo di Futuro e Libertà alla Camera. «Berlusconi ritiene una anomalia che Fini gli abbia chiesto le dimissioni, ma la vera anomalia sta nella sua richiesta al presidente della Camera. Fini è membro del Parlamento e come tutti ha il diritto di chiedere le dimissioni del premier. È invece assurdo che il Capo del governo chieda le dimissioni di chi presiede una istituzione che difende l'operato del Parlamento. Berlusconi ancora non conosce le regole basilari della democrazia». L'unico che prova a mettere la sordina a tutta la polemica è Umberto Bossi. Interessato a «portare a casa» la riforma del federalismo, il leader leghista ha tutto l'interesse a far calmare le acque. Così ieri ha ammonito: «Tutti dovremmo abbassare i toni e fare meno casino». «Il mondo – è la premessa un po' filosofica del Senatur – è diviso in due, io faccio parte di un mondo e penso che bisogna fare meno casino e abbassare i toni». E la conferma che la Lega, oggi, sta dalla parte di chi non urla si intuisce anche dal basso profilo scelto da Bossi sulla piazza invocata dal Pdl come prova di forza contro il «fango» del caso Ruby: «Non lo so, devo parlare con i miei perché io sono ancora capo di un partito», glissa. Non senza punzecchiare. Intanto oggi Gianfranco Fini interverrà a Todi all'assemblea del Terzo Polo.