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Il clan degli insaziabili

Roberto Saviano

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Gli intellettuali freschi di vivaio, i nipotini di Moravia e di Guttuso, a loro volta nipoti piccoli piccoli di giganti duri e puri tipo Antonio Gramsci, hanno una certezza, oltre a quella del proprio valore. Nell'aut aut proposto con un rigurgito di ironia da Nanni Moretti, nell'amletico «mi si nota di più se non ci vado o se ci vado?», loro scelgono la seconda opzione. Dunque, esserci sempre, tenere la posizione, discettare di tutto lo scibile, apparire. Roberto Saviano è il giovane guru che meglio di tutti incarna la razza e la specie. Pontifica ogni giorno, detta la linea alla sinistra, alla televisione di Stato occupata ancora dalla sinistra, alle case editrici, ai produttori cinematografici, ai festival più o meno culturali, ai rettori delle università del Nord e del Sud. Come una piovra - meglio, un vorace polipo emerso dalle campane marine - fagocita settori tangenti. Così ieri lui che giura e spergiura di non voler entrare in politica (la qual cosa gli renderebbe infinitamente meno dei diritti d'autore incamerati coi libri usciti da Segrate) è entrato a gamba tesa nelle primarie del Pd a Napoli. «C'è stato un voto di scambio», adombra odorando, come è abituato a fare, puzza di bruciato e la longa manus di gentaglia del centrodestra che ha inquinato la democratica e progressiva consultazione. Ma va oltre, e lo annuncia urbi et orbi, dal grembo ecumenico di «Repubblica tv».   Il candidato buono per la sinistra sotto il Vesuvio? Lo indica lui, il Verbo con la barba lunga e nera, come la t-shirt. E chi è? Elementare Watson. È un giudice anti-camorra, Raffaele Cantone. Insomma, uno che potrebbe entrare benissimo nel replay di «Gomorra». E che se la intenderebbe a perfezione con i pm di Milano, gli eroici Boccassini e C. al quale Saviano ha dedicato la laurea ad honorem in legge appena rimediata a Genova. Adesso, qui c'è da chiarire parecchio. A che gioco gioca, Saviano? Perché non salta una volta per tutte il fossato e passa non già da Mondadori a Feltrinelli, ma addirittura dalla scrittura alla politica? Tanto politica (mica strategia, solo tattica antiberlusconiana) la fa appena apre bocca. E della politica ha ben imparato il gioco delle correnti. Nel suo Pd, per esempio, ha già imboccato la strada che lo porta al redivivo Uòlter. Infatti il giudice Cantone l'aveva già «nominato» Veltroni come sindaco ideale all'ombra del Vesuvio, durante la prima assise del Modem, lo scorso 27 novembre. Ma Cantone non si è messo in corsa. Saviano adesso lo tira per la giacca con operazione disinvolta assai. Cantone mica è sceso in campo. Dunque non è stato beffato dai brogli delle primarie nella città di Pulcinella. Insomma, che c'azzecca? Ma già, Roberto non si discute, si venera. È l'onnipresente e l'onnisciente. Feltrinelli clona i suoi sermoni televisivi per niente rock, al teatro Ambra Jovinelli di Roma va in scena un suo testo, un altro si recita al Ciak di Milano. Oltralpe si smania per lui. Ecco la sua drammaturgia in una rassegna francese, ecco un documentario sulla sua inimitabile esistenza presentato al festival di Biarritz, un posto vippissimo, frequentato solo da ricconi e da trinariciuti radical chic. Nel frattempo dalle pagine del «Corrierone» non perde l'occasione di rintuzzare Marina Berlusconi e di perfezionare il colpo di scena dell'uscita da Mondadori-Einaudi: «La proprietà non sopporta più la mia presenza. Si sta vivendo una contraddizione tra la proprietà che alza la voce e assume toni autoritari e gli uomini che lavorano nella casa editrice». Insomma, la solita storia delle trame contro di lui. Una povera vittima che ha rischiato di non vedere uscire il libro con i pistolotti tv sotto l'ala protettiva di Fabio Fazio. «Hanno cercato di farli dimenticare il prima possibile», dice triste. Questa della faccia un po' truce è un'altra caratteristica che accomuna i cosiddetti intellettuali di sinistra. Aveve mai visto allargarsi nel sorriso Erri De Luca, uno che pure dovrebbe stare allegro, visti i bigliettoni che intasca appena pubblica un romanzo o licenzia un testo per il teatro? E Vito Mancuso? E la superstar di tutti i festival della scienza, il mangiapreti Piergiorgio Odifreddi? E quando mai ha illuminato il volto l'altra macchina per far soldi (in tv, sui giornali, in libreria) che risponde al nome di Corrado Augias? Ohibò, l'uomo dei gialli è piuttosto incline a sollevare sdegnato il sopracciglio. E, ligio all'appartenenza ideologica, ha subito fatto venire da Parigi la fraterna solidarietà a Saviano: «Se c'è una cosa che fa orrore non sono i magistrati che indagano, ma quello che è successo nella villa del premier. Quindi il mio disagio cresce continuamente», sentenzia. Omettendo di ricordare che disagio non gli ha provocato intascare i diritti d'autore dei suoi libri pubblicati da Marina Berlusconi. Come l'ultimo, quel «I segreti del Vaticano» in cima ai più venduti. Tra decani e nuove star, si rimpolpa intanto il vivaio. Sulle colonne politicamente corrette del «Corrierone» dice spesso la sua la bella Silvia Avallone, che l'estate scorsa ha sbancato le librerie con il romanzo-opera prima «Acciaio». La sua tesi di ieri: le donne perdute contemporanee, aduse ai dopocena di Arcore, non hanno la «grandiosa personalità» di quelle letterarie, vedi Bovary o Karenina. Bella forza, la misera Minetti non potrà mai competere con un'eroina costruita a tavolino. Ma tant'è: la romanziera mischia le carte e sentenzia. Almeno però sorride sempre. E pubblica con Rizzoli.

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