Il Pd e i due pifferai
La continua discesa del Pd verso lo stallo politico, se non verso il baratro, è stata illustrata molto bene da Luca Ricolfi. Il quale ha sottolineato come, al di là delle apparenze e delle dichiarazioni ufficiali, i due attuali pifferai del Pd, Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni, rappresentino due facce della stessa medaglia. A ben vedere, infatti, le differenze tra i due sono irrilevanti, tanto che l'uno e l'altro finiscono, sia pure a denti stretti, per ammettere di essere d'accordo su tutto o su quasi tutto. Ricolfi, da attento analista e da serio studioso, scrive che "il Pd di Bersani e quello di Veltroni si somigliano come due gocce d'acqua" e precisa che "si somigliano per la semplice ragione che sono entrambi vecchi". Già. Il punto è proprio questo. Il Pd, che si tratti di quello di Bersani o di quello di Veltroni, è proprio vecchio. Anzi decrepito. Tanto sul piano delle idee quanto sul terreno del modello organizzativo. Per quel che riguarda le idee, infatti, siamo in presenza di un mix catto-comunista. Un vero e proprio pasticcio culturale, ideologico e programmatico, che si sforza, consapevolmente o inconsapevolmente, di far rivivere, sotto i nuovi cieli di una politica post-ideologica, l'antica solidarietà e collaborazione dei tempi della Costituente fra un Dossetti e un Togliatti. Un progetto destinato al fallimento. In primo luogo perché condannato dalla storia. In secondo luogo, perché basato sulla preminenza, all'interno del Pd, di una componente, quella degli ex-comunisti o diessini, che non hanno mai fatto realmente i conti con il loro stesso passato e con il fallimento, a livello planetario, della illusione comunista. Ma la decrepitezza del Pd - si diceva - è attestata anche dalle sue caratteristiche strutturali, dal fatto cioè di essere un partito costruito secondo i modelli tipici dei partiti vecchio stile, in particolare di quelli funzionali a sistemi politici di tipo non bipolare. Come dimostra la presenza di correnti organizzate e, quindi, di una concezione della dialettica politica interna come una vera e propria lotta per la conquista del potere nei "microparlamenti" del partito. E come, ancora, dimostra il sostanziale fallimento del meccanismo delle "primarie" che sono, in realtà, uno strumento di selezione della classe politica funzionale a partiti e sistemi politici - si pensi al caso americano - di altra natura e con altre caratteristiche. In una battuta, il problema del Pd è un problema culturale prima ancora che politico. Le lancette dell'orologio della storia, nel caso del Pd, si sono bloccate. Tutto ciò spiega perché il Pd di Bersani e il Pd di Veltroni o anche, si potrebbe aggiungere, il Pd di D'Alema siano molto simili. Spiega perché si esauriscano in lotte per la conquista della leadership interna. Spiega, altresì, perché non riescano a definire le coordinate di una piattaforma o di un programma politico che siano, o possano aspirare ad essere, alternativi alle proposte del centro-destra. Lo si è visto nella assise del Lingotto dove i temi in ballo sono stati, in sostanza, solo la proposta di una imposta patrimoniale e l'antiberlusconismo. Due temi, riconosciamolo, vecchi. Anzi, stantii. E, per ciò stesso, indigeribili per il popolo dei moderati nei cui confronti dovrebbe essere rivolta una operazione tesa ad acquisire consensi. Il primo, perché evoca lo spauracchio di una presenza sempre più massiccia e invasiva dello Stato gabelliere. Il secondo, perché, di fatto, rispolvera armi - la via giudiziaria, i complotti di palazzo, la moralità privata come premessa della moralità pubblica - che si sono rivelate inadeguate allo scopo. E che hanno sortito, in molti casi, effetti contrari, quelli di un ricompattamento attorno a Berlusconi e al Pdl. C'è ancora un punto che il decrepito e ideologico Pd non riesce a cogliere. Il suo antiberlusconismo d'assalto viene portato avanti con modalità e toni che si risolvono in una vera e propria offesa nei confronti degli elettori del centro-destra presentati, di fatto, come tanti poveri babbei se non, addirittura, dei criminali in potenza. È, anche questo, un modo vecchio e incivile di concepire il confronto politico: un modo che vede nell'avversario il nemico. E che porta allo stallo dell'intero sistema politico.