Un ricatto «elimina» premier
Quellache può fare la differenza. Il potere giudiziario, infatti, è ormai in grado di svolgere opera di controllo e addirittura di supplenza nel confronti di un potere politico, esecutivo e legislativo, sempre più indebolito. Ma, soprattutto, il potere giudiziario è ulteriormente rafforzato dal fatto che può autotutelarsi e che i suoi eventuali errori non sono né sindacabili né punibili se non, nella migliore delle ipotesi, con un qualche provvedimento amministrativo. È diventato un potere non solo autonomo (com'è giusto che sia), ma anche un potere sovraordinato agli altri (come non è giusto che sia) ed esente dal quel sottile ma complesso gioco di bilanciamenti e controlli reciproci che dovrebbe costituire l'essenza di una democrazia liberale e la garanzia del suo corretto funzionamento. In questa situazione, quando certi oppositori di Berlusconi in servizio permanente effettivo cercano per le loro trame da basso impero appoggio, sostegno o complicità in una magistratura, o in una parte di essa, sempre più politicizzata e incontrollabile mostrano tutta la loro ingenuità. Non si rendono conto che è difficile cavalcare una tigre scatenata. E che si rischia di rimanerne comunque vittime. Plaudire facendo da acritica cassa di risonanza - come mostra di fare l'opposizione - all'offensiva senza quartiere messa in piedi, con uno spiegamento di mezzi e di risorse incredibile, nei confronti del presidente del Consiglio equivale a giocare con il fuoco. Quando la democrazia rappresentativa diventa democrazia giacobina la strada è obbligata: la vittoria dei giacobini o giustizialisti lascia sul terreno nemici e anche amici. Perché la rivoluzione, prima o poi, come insegna la storia, divora sempre i suoi figli. Allo stato attuale, il problema vero della politica italiana non è quello di salvare il premier da accuse, fondate o infondate che siano, ma è invece quello della difesa della democrazia messa a rischio dall'invadenza di uno dei suoi poteri. Gli oppositori di Berlusconi - continuando a giocare la carta dell'eliminazione del premier per via giudiziaria - non si rendono conto di contribuire, sempre più, all'affossamento della politica e all'imbarbarimento del confronto politico oltre che all'alterazione degli equilibri dell'intero sistema istituzionale. Non si sono accorti che il quadro generale di riferimento è cambiato. E perseverano nell'imbastire trame sul modello di quelle che venivano ordite prima del crollo della prima repubblica. Le «offerte» dei Casini, le richieste dei Fini, le «trattative» dei D'Alema appartengono a questa logica. Ma è una logica senza futuro e senza prospettiva. E soprattutto incosciente perché, quand'anche il loro obiettivo riuscisse, si avrebbe un Paese soltanto in apparenza guidato da un governo, quale che sia, ma in realtà sotto tutela dei giudici. E non sarebbe davvero una bella prospettiva.