Cuffaro va in carcere
È entrato nel carcere di Rebibbia da una porta secondaria mezz'ora dopo aver appreso che la Cassazione aveva confermato la sua condanna a 7 anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio. L'ex presidente della Sicilia, Salvatore Cuffaro, senatore dal 2008, ha sperato fino all'ultimo in un giudizio più leggero. Sembrava verosimile dopo la richiesta del procuratore generale di annullare il procedimento con rinvio della sentenza di condanna alla Corte di Palermo. Invece la doccia fredda è arrivata poco dopo le 16 di ieri. Cuffaro, che ha atteso la decisione in preghiera nella chiesa della Minerva, a due passi dalla sua casa romana al Pantheon, è rimasto sereno: «Adesso affronterò la pena come è giusto che sia, questo è un insegnamento che lascio come esempio ai miei figli» ha detto ai cronisti prima di raggiungere Rebibbia per costituirsi. «Sono stato un uomo delle istituzioni e ho un grande rispetto della magistratura che è un'istituzione, quindi la rispetto anche in questo momento di prova. Questa prova certamente non è facile - ha concluso Cuffaro - ma ha rafforzato in me la fiducia nella giustizia e soprattutto la mia fede. Se ho saputo resistere in questi anni difficili è soprattutto perché ho avuto tanta fede e la protezione della Madonna». L'inchiesta sulle «Talpe alla Dda» ha preso il via nel 2002. Insieme con lui, tra gli altri imputati, anche il manager della sanità privata in Sicilia, Michele Aiello, indicato vicino al boss Bernando Provenzano. Una vicenda che ha svelato un intreccio politico-mafioso, facendo emergere fughe di notizie su indagini antimafia pervenute ad alcuni indagati attraverso delle talpe presenti alla Procura di Palermo. L'ipotesi di reato contestata a Cuffaro è stata di avere violato il segreto istruttorio. Il governatore, che sapeva di un'inchiesta sul boss di Brancaccio Giuseppe Guttaduro e della presenza di microspie nella sua abitazione, avrebbe avvertito indirettamente il mafioso, tramite un suo amico medico e avrebbe dunque fatto in modo che il boss scoprisse le cimici, bruciando l'inchiesta. Non solo. Al centro del dibattimento è finito un incontro tra Aiello e Cuffaro nel retro di un negozio di Bagheria, nel palermitano. Michele Aiello è accusato nello stesso processo di associazione mafiosa e di essere stato il prestanome di Provenzano. Le accuse sono sfociate nel rinvio a giudizio, il 2 novembre del 2004, del presidente della Regione siciliana. La sentenza è arrivata il 18 gennaio 2008, con la condanna di Cuffaro a 5 anni per favoreggiamento. Non fu considerata l'aggravante mafiosa. Cuffaro festeggiò con un vassoio di cannoli, un'immagine rimasta indelebile. Ma il 23 gennaio 2010 la Corte d'Appello di Palermo ha riconosciuto l'aggravante e ha condannato l'ex governatore a 7 anni di reclusione. Eppure i guai giudiziari di Cuffaro non sono finiti. A Palermo è in corso un processo con rito abbreviato in cui l'ex governatore è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa: i pm hanno chiesto una condanna a 10 anni di reclusione.