Il caso Ruby sotto la lente dei vescovi
La più difficile da affrontare, senza dubbio, una «trasferta» impegnativa per il cardinal Angelo Bagnasco, tanto per parafrasare il calcio: stiamo parlando del consiglio permanente dei vescovi che si apre oggi ad Ancona. Di sicuro, il primo della storia della Conferenza episcopale italiana in cui sia stato pubblicamente indicato come all'ordine del giorno un tema politico, e di estrema delicatezza: la vicenda Ruby. Inevitabile un gioco di cesello nella composizione del testo-mosaico da rendere pubblico nella prolusione. Parole che potrebbero pesare non poco: il presidente della Cei sabato ha incontrato il Papa e nei giorni scorsi ha avviato un'ampia consultazione che ha coinvolto, tra gli altri, il cardinal Ruini. Certamente sarà di carattere pastorale il taglio scelto per la relazione che darà il «la» al dibattito. In parole semplici, il concetto-guida del discorso dovrebbe essere questo: in quanto vescovi, proprio perché vescovi, spinti da preoccupazione «pastorale», «non possiamo tacere» di fronte alla questione «morale». Approccio condiviso e concordato col Vaticano perché la prudenza istituzionale dovuta di fronte a una situazione che coinvolge il premier e la magistratura, non può far tacere la preoccupazione pastorale né impedire il richiamo alla «chiarezza» e alla «responsabilità», di fronte «alla domanda di esemplarità e ai problemi che pesano sulla società italiana». Come aveva fatto capire nei giorni scorsi il cardinal Tarcisio Bertone. Alle parole del Segretario di Stato vaticano era seguita la dichiarazione di Bagnasco che del caso Ruby si sarebbe parlato in Consiglio permanente, e una serie di dichiarazioni di vescovi - alcune anche con richiesta di dimissioni a Berlusconi - di diverse sensibilità, ma del tutto univoche. Come quella del Patriarca di Venezia, Sciola, che aveva rimarcato: «L'episcopato italiano è molto coeso quando deve dare giudizi su questioni dottrinarie e morali». Inoltre, a vari livelli, la Chiesa ha sentito particolare sintonia con gli interventi del presidente della Repubblica, Napolitano. L'alba dei lavori di Ancona è rischiarata da un dardo che parte da «Avvenire»: in un'intervista, il direttore del quotidiano dei vescovi, Marco Tarquinio, ha osservato: «Come nel caso D'Addario anche in questo penso sia mancata disciplina e onore o, se vogliamo, sobrietà di comportamenti da parte di chi ricopre un'alta carica pubblica. È chiaro che lo stesso vale per tutti coloro che ricoprono tali cariche, anche per i magistrati, che però non si devono attaccare solo perché fanno il loro lavoro». E, come se non bastasse, arriva un altro «segnale luminoso» di «Avvenire» con un editoriale sulla condanna definitiva di Cuffaro, intitolato «Una lezione ai politici di oggi e di domani», che si conclude con la citazione del giudice-martire Livatino: «Non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili». Circa le prospettive del governo restano ovviamente diverse le posizioni tra i vescovi e il laicato cattolico: sono in molti a essere spaventati da una crisi, ma in prospettiva qualcuno pensa già a Tremonti. Però, ad altri non piace o non piacerebbe se appoggiato da Fini, al quale si rimproverano sui temi etici posizioni laiciste di recente conio. Infine, l'ipotesi di una predominanza della Lega riproduce nell'episcopato fratture già difficili da ricomporre in proiezione. E la base? In fermento anch'essa con associazioni, parrocchie e movimenti che da mesi premono per un recupero della politica come ricerca del bene comune. «Ma i vescovi non dovrebbero lasciare più spazio ai laici sui temi politici?», si è chiesta Famiglia Cristiana.