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Da Google alla Grande muraglia il dominio del Pacifico

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Repubblica Popolare Cinese

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La Cina scavalca il Giappone e diventa le seconda potenza economica del mondo dietro gli Usa; e nel 2020 potrebbe essere già la prima. Larry Page, uno dei due co-fondatori di Google, si riprende la guida del colosso di Mountain View congedando il ceo Erich Schmidt, l'uomo dei conti e di Wall Street. C'è un nesso tra queste due notizie? Sì: il loro epicentro è in entrambi i casi sul Pacifico. In quella AmeriCina che secondo molti sarà il vero asse economico, tecnologico e strategico dei prossimi decenni, rendendo la vecchia Europa sempre più marginale. Adesso che la visita di Hu Jintao negli Stati Uniti volge al termine, si faranno certo i bilanci su quanto abbia dovuto mollare Barack Obama, ma una cosa è certa: se l'intero dopoguerra fin quasi ad oggi ha rappresentato sotto l'aspetto politico, economico, militare e sociale l'era dell'Atlantico, prepariamoci alla lunga età dominata dal “grande mare calmo” come lo chiamò Magellano. Calmo? Il 2010 ha sovvertito parecchi valori che a noi europei sembravano consolidate certezze. Con 5.745 miliardi di dollari ed una crescita del 10,3 per cento nel 2010 la Cina ha dunque il secondo Pil del mondo, davanti al Giappone – 5.499 miliardi di dollari pur in aumento del 2% - e dietro gli Usa, 14.624 miliardi in aumento del 2,5. Ciò significa anche che le tre potenze pacifiche sommano già ora una ricchezza di 25 mila miliardi di dollari: poco meno della metà del Pil di tutto il mondo calcolato dal Fondo monetario in 57 mila miliardi di dollari (e dalla Cia in oltre 58 mila).   L'Unione europea è indietro: 14 mila miliardi, ed il trend di bassa crescita non la favorisce né nel suo assieme né per i singoli paesi, visto che nei prossimi anni Brasile e India dovrebbero scavalcare Gran Bretagna e Italia. Ma forse contano di più altre cifre. Negli ultimi 12 mesi la Cina ha sorpassato gli Usa quanto ad export: la sua quota mondiale è salita al 9,6 per cento, contro l'8,4 degli Stati Uniti. Ciò significa che un euro o un dollaro di merce su dieci che ogni istante viene venduta e comprata in tutto il pianeta è made in China, mentre vent'anni fa era per ben oltre made in Usa. Ma vuol dire anche che oltre un quarto del commercio mondiale è già un affare del Pacifico, e su questo mare nei prossimi dieci anni si concentreranno un terzo degli scambi. E questo senza tener conto di ciò che è contraffatto o illegale. A loro volta da dove vengono l'export e il valore aggiunto americano? E dove vanno? La Apple ha appena annunciato che vende ormai in Cina il 10 per cento del suo fatturato. Tutte e tre le prime aziende per capitalizzazione quotate in America hanno in Cina il loro principale sbocco estero: Exxon, Apple e Microsoft. Lontano da Wall Street e dal Nasdaq, gli altri quattro big per capitalizzazione di borsa sono tutti quotati a Hong Kong: Petrochina, la banca IcbC, l'operatore di telefonia China Mobile e di nuovo una banca, la China Con Bank. Anche in questo caso i primi clienti dei cinesi sono Usa e Giappone. Nella disfida tra giganti un suo spazio ce l'ha anche l'Italia. Il nostro paese si è confermato nel 2010 il primo esportatore mondiale di robot, e indovinate qual è il suo principale mercato? La Cina, con il 15,1 per cento dell'export, circa il doppio di quanto vendiamo in Germania. Ma ciò che durante la visita di Hu ha fatto drizzare le orecchie di molti è il possibile sorpasso dei cinesi sugli americani nell'alta tecnologia: 141 miliardi di dollari investiti nel 2009 in settori che vanno dal genoma ai fotoni, fino al cosiddetto supersilicio per l'informatica. Ecco un altro motivo per seguire l'imminente sfida militare sul Pacifico tra cinesi e americani: entrambe le parti intendono fronteggiarsi a colpi di “netwar”, la dottrina dello scontro di reti con uso spinto di satelliti e informatica applicata dal generale David Petreus in Iraq e Afghanistan. Gli anni Ottanta, con lo scudo spaziale di Ronald Reagan, portarono i lettori laser ed internet nella nostra vita quotidiana. Ora i grandi nomi ed i laboratori di Silicon Valley si riposizionano sul Pacifico in attesa di una seconda ondata. Peccato che noi si debba fare da spettatori, tutti presi dalla Bce.

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