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Quei tartufi moralisti lascino in pace la Chiesa

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Vaticano

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Quei tartufi col ditino moralista sempre alzato, e sempre bramosi di pubbliche gogne, che vorrebbero che la Chiesa desse una mano alla loro parrocchia mediante un pubblico anatema contro i costumi privati del Cav. (magari con un'enciclica intitolata Contra Silvium), evidentemente ignorano, o fingono di ignorare, le seguenti storiche ovvietà: che nelle cose del sesso la Chiesa, fin quasi dalle sue origini, si è sempre dimostrata meno rozza ottusa arcigna, bacchettona e punitiva delle varie morali sessuali sfornate, dal vispo Settecento ai giorni nostri, dalle più apprezzate agenzie… della cultura laica, sia di gusti idealistici e borghesi che marxisti e proletari; e in tante pagine dei suoi Padri (vedi in particolare quelle in cui Agostino dipinse il piccolo d'uomo come un esserino non molto diverso dal «polimorfo perverso» che fu descritto da Freud quindici secoli dopo) dimostrò subito di saperla, sull'argomento, molto più lunga della moderna sessuologia scientifica; e nel Medio Evo cristiano, mentre da un lato esaltava la castità e il matrimonio, paradossalmente cooperava alla creazione di miti erotici strepitosi, come quelli tramandati nei tanti racconti del ciclo bretone che cantano al contrario l'amore adulterino, e in particolare la leggenda di Tristano e Isotta, matrice di innumerevoli variazioni successive, fino ai contributi di Hollywood al genere Eros, Tradimento e Morte; e non impedì ma anzi forse alimentò la lieta furia con cui, in quei pretesi secoli bui, poteva accadere che si copulasse ardentemente persino, come fecero una volta anche Eloisa e Abelardo, ai piedi degli altari delle chiese; e poté apprezzare la visionaria passione che indusse il cristianissimo Dante a punire gli adulteri Paolo e Francesca lasciando che anche all'inferno restassero avvinti per tutta l'eternità nel più appassionato e interminabile degli abbracci; e poté tollerare lo zelo con cui ai tempi di Boccaccio e Chaucer frati e monache si sollazzavano in vari modi nei loro conventi e monasteri; e non scoraggiò la disinvoltura di quegli artisti che alle soglie del Rinascimento potevano raffigurare impunemente con lo stesso impegno crocefissioni cristiane e primavere pagane, Cristi alla colonna e maddalene pentite, natività evangeliche e nascite di Venere; e non condannò la fierezza con cui i signori e i papi del Quattro e del Cinquecento ostentavano la loro ammirazione per le abbaglianti carni delle spesso pingui cortigiane ritratte dai loro pittori di regime; e non disprezzò lo sguardo presumibilmente ingordo con cui si può supporre che nell'età barocca certi prìncipi della chiesa contemplassero splendide scene di eros possente come gli spettacolari inseguimenti e ratti di belle fanciulle ignude dipinti su tela o scolpiti nel marmo da artisti sommi come Tiziano e Bernini; e tollerò l'agilità mondana con cui, ancora ai tempi di Casanova, Mozart, Da Ponte, Beaumarchais, Watteau, Laclos e altri estrosi libertini, anche i più accorti e severi prelati frequentavano volentieri certi luoghi (i boudoir delle nobili dame, i casinetti dei loro amanti, gli studioli delle più colte e vezzose fanciulle, ma anche, all'occorrenza, le stanze della loro servitù) dove si sa che si fornicava parecchio; e soprattutto ben presto, smaltite le prime ossessioni anticarnali, stipulò un tacito armistizio con la saggezza in eroticis del defunto paganesimo lasciando che gli antichi dèi, cacciati con le loro favole dalla porta della fede e della teologia, rientrassero dalla finestra dell'arte e della poesia, lasciando che a deplorare tanta licenziosità si levasse il fiero bigottismo della nascente società borghese e laicista.

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