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Federalismo e rimpasto Se il governo fallisce si vota

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Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il premier Silvio Berlusconi

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Un bivio. È ciò che si prospetta nell'immediato futuro della maggioranza. Un bivio che la sentenza della Consulta prima e il caso Ruby poi, hanno inesorabilmente avvicinato. E ora pone il governo nella condizione di dover scegliere se continuare a reggere le redini dell'Italia mettendo in campo delle vere riforme oppure tirare i remi in barca e lasciarsi trasportare dritti dritti verso la crisi. E proprio in questo scenario ecco che il vero banco di prova sarà il federalismo fiscale. Una strada che diventa giorno dopo giorno sempre più impervia e che da ieri è tornata ad agitare i palazzi della politica con Umberto Bossi che, dopo essersi detto «fiducioso» sull'ok alla conclusione dell'iter parlamentare della riforma, ha messo le mani avanti lanciando un chiaro ultimatum non solo alla maggioranza ma a tutti i partiti: «Se non avviene, torniamo alle urne, ci facciamo dare il voto dagli italiani e ricominciamo a lavorare per farlo succedere». Un avvertimento che arriva nel giorno in cui Roberto Calderoli ha cercato l'ennesima mediazione per convincere le opposizioni, stavolta sul federalismo municipale. Un tentativo naufragato nel momento in cui Pd, Idv e Terzo polo hanno voluto chiudere la porta definendo la riforma «un pasticcio». E se dalle parole si passasse ai fatti lo scenario che si prospetterebbe non sarebbe dei migliori. Mercoledì prossimo infatti la commissione bicamerale presieduta da Enrico La Loggia dovrà esprimersi sul decreto sul fisco comunale e, a conti fatti, la votazione potrebbe risolversi in un pareggio 15 a 15 tra maggioranza e opposizione, che implicherebbe la bocciatura del parere sul testo. Pdl e Lega, infatti, possono contare su 14 voti certi. Ai quali è probabile si possa aggiungere quello della senatrice dell'Svp, Helga Thaler, che, però, ha fatto sapere di voler leggere attentamente le carte prima di scegliere come votare. Dall'altra parte gli 11 commissari di Pd e Idv ai quali potrebbero aggiungersi i 4 del terzo polo che hanno fatto sapere che sceglieranno una linea comune di voto. Se dovessero optare per il no il risultato sarebbe la perfetta parità. Il parere verrebbe dunque respinto con poche conseguenze dal punto di vista tecnico, visto che secondo la legge delega il decreto (non integrato dal parere) potrebbe comunque essere emanato dal governo. Per farlo però dovrebbe giustificare alle Camere il perché di questa scelta con conseguenze devastanti dal punto di vista politico, visto che i numeri della maggioranza in Parlamento sono risicati e lo stesso Governo rischierebbe di andare sotto al momento del voto. Una situazione che Bossi vorrebbe evitare a tutti i costi ma che il Senatùr è già pronto ad usare a suo vantaggio. Infatti minacciando elezioni anticipate non solo tenta di spaventare i centristi che temono di dover chiedere il voto agli italiani quando ancora non sono riusciti a radicarsi nel territorio ma lancia un chiaro messaggio anche ai tanti militanti della Lega critici verso il proprio leader che dopo due anni e mezzo di governo non è ancora riuscito a chiudere la partita sul federalismo: «Il federalismo è l'unica bussola della Lega, e nel nome della riforma si scelgono gli alleati». L'altro punto all'ordine del giorno nell'agenda del governo che diventa quindi propedeutico anche per il varo del federalismo diventa quindi necessità di allargare la maggioranza. E in questa direzione le buone notizie dovrebbero arrivare oggi quando il gruppo dei «responsabili» dovrebbe scendere effettivamente in campo per diventare la «terza gamba» del governo. Sembrerebbe infatti che, dopo molti annunci, il gruppo abbia raggiunto quota venti e che, a meno di passi indietro dell'ultimo minuto, oggi farà il proprio debutto alla Camera. Ieri sera il conteggio a Montecitorio segnava quota 18 lettere di adesione firmate, ma le due che mancano (sarebbero quelle di Antonio Gaglione e Calogero Mannino) dovrebbero arrivare oggi. Un gruppo formato dall'ex leghista Maurizio Grassano, dai cinque di Pid, dai tre ex Fli Moffa, Siliquini e Polidori, dall'ex Pd Calearo, dall'ex Idv Scilipoti, dall'ex Api Cesario, da Pionati dell'Adc e dai sette deputati di Noi Sud capeggiati da Luciano Mario Sardelli che rivestirà il ruolo di capogruppo temporaneo dei «responsabili». I neoaderenti alla maggioranza arrivano così non solo a dare sostegno alla maggioranza ma risulteranno determinanti anche all'interno delle Commissioni parlamentari nelle quali verrà ridistribuito il numero dei commissari garantendo una rappresentanza anche ai «responsabili». Ed ecco che, proprio grazie a questa mossa, la maggioranza potrà tornare ad avere i numeri per evitare ulteriori sgambetti da parte dell'opposizione. Se invece l'allargamento della maggioranza dovesse fallire trascinando con se la possibilità per l'esecutivo di ricominciare a governare per Berlusconi e Bossi non resterebbe che prendere l'altra strada del bivio: le elezioni. Ed è proprio il Senatùr, ribadendo la solidità dell'alleanza con Silvio, a dettare la strategia: «Ci facciamo dare il voto dagli italiani e ricominciamo a lavorare per farlo». E al voto il Carroccio vuole andarci con il Pdl.

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