Il tempismo dei giudici milanesi
Se il problema non fosse terribilmente serio, diciamo pure drammatico per l’uso politico che si può fare della giustizia in Italia, ci sarebbe da ridere di fronte alla difesa che il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura ha voluto fare dei tempi scelti dalla Procura della Repubblica di Milano per l’ennesimo e forse più infamante assalto a Silvio Berlusconi. Contro il quale si vorrebbe celebrare un processo addirittura immediato per utilizzo della prostituzione minorile e concussione in ordine alla vicenda della marocchina Karima El Mahroug, più nota come Ruby. Secondo Michele Vietti, presidente appunto dell’organo di autogoverno delle toghe, la Procura milanese «si è mossa con estrema discrezione evitando» che la sua iniziativa «interferisse - ha detto ieri al Corriere della Sera- sul voto di fiducia al governo, un mese fa, e ieri sulla sentenza della Corte Costituzionale» riguardante la legge ordinaria sul cosiddetto legittimo impedimento. Che lo stesso Vietti peraltro propose a suo tempo al Parlamento per garantire sino all’autunno prossimo la sostanziale sospensione dei processi al presidente del Consiglio e ai ministri, in attesa di una disciplina costituzionale della materia. Occhio al calendario. La Procura di Milano non ha interferito, è vero, sul voto di fiducia con il quale il 14 dicembre i deputati hanno salvato il governo Berlusconi dall’insidioso assalto parlamentare condotto dal presidente della Camera e dalle altre opposizioni. Essa ha fatto di peggio. Ha iscritto il Cavaliere nel registro degli indagati sette giorni dopo quel voto, il 21 dicembre, per evitare che prima una così clamorosa iniziativa potesse servire al presidente del Consiglio per far capire meglio ai meno accaniti o più responsabili dei suoi oppositori quanto le mozioni di sfiducia presentate contro di lui potessero risultare concorrenti con le pratiche giudiziarie che lo riguardano. Più in particolare, pur indagando su Ruby e dintorni da mesi, alla Procura di Milano si ritenne di formalizzare l’inchiesta su Berlusconi solo dopo che questi aveva concluso la sua partita parlamentare non tanto con i vecchi oppositori targati Pd, Italia dei Valori e Udc, quanto con i nuovi targati Fini. Che erano stati suoi alleati sino a poche settimane prima ed anche per questo erano fortemente divisi sui tempi e sui modi scelti dal presidente della Camera per tentare l’affondo contro il Cavaliere. Sarebbero stati probabilmente ben più numerosi i finiani dissidenti se avessero saputo ciò che stava bollendo nel pentolone della Procura ambrosiana. Occhio adesso all’orologio. Le prime indiscrezioni giornalistiche, poi confermate con tanto di comunicato della Procura milanese, sull’invito al Cavaliere a comparire davanti ai magistrati per prostituzione minorile e concussione sono arrivate poco più o poco meno di dodici ore dopo l’annuncio della sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha reso più difficile il ricorso del presidente del Consiglio al legittimo impedimento per il rinvio delle udienze dei suoi processi. La Procura ambrosiana ha pertanto imboccato la strada del processo con rito immediato contro Berlusconi per l’affare Ruby proprio grazie agli spazi procedurali aperti dai giudici costituzionali. Fra i quali probabilmente sarebbe sorto qualche dubbio in più se fosse stato di loro conoscenza il nuovo uso al quale avrebbe potuto prestarsi la loro decisione di indebolire il cosiddetto scudo processuale del presidente del Consiglio. Nella cui agenda politica i magistrati che lo processano vorrebbero mettere mani e piedi. È risibile, pur con tutto il rispetto personale e istituzionale che gli è naturalmente dovuto, anche il tentativo del presidente del Consiglio Superiore della Magistratura di contrastare le reazioni negative di Berlusconi, dei suoi avvocati e dei suoi sostenitori alla nuova iniziativa della Procura milanese ricordando «i numerosi apprezzamenti» da loro riservati al capo di quell’ufficio, Edmondo Bruti Liberati, solo qualche mese fa. Esattamente quando egli, in contrasto con le proteste levatesi dal Procuratore del tribunale dei minori Anna Maria Fiorillo, certificò la correttezza del comportamento della Questura di Milano nella notte tra il 27 e il 28 maggio. Quando l’allora minorenne Ruby, trattenuta per denuncia di furto, fu affidata al consigliere regionale della Lombardia Nicole Minetti a seguito di alcune telefonate -la presunta concussione- intercorse tra la scorta del presidente del Consiglio e la Questura. Ora si è capito perché la Procura di Milano liquidò le proteste della Fiorillo, come ha poi fatto anche la competente commissione del Consiglio Superiore della Magistratura. Lo fece per tenersi stretta l’indagine su Ruby, e infine sul presidente del Consiglio, anziché passarla alla Procura di Brescia, competente ad occuparsi di inchieste riguardanti anche un magistrato in servizio a Milano. Gli effetti di quell’astuta condotta giudiziaria si sono visti con la svolta, chiamiamola così, che ha restituito alla Procura milanese la fiducia e gli applausi della peggiore risma di giustizialisti e avversari di Berlusconi. Che hanno potuto così assolvere Bruti Liberati dall’accusa rivoltagli nei mesi scorsi di eccessiva prudenza o riguardo verso il Cavaliere. I conti sembrano quindi tornati a posto nella Procura che fu di Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D’Ambrosio, Cherardo Colombo, Pier Camillo Davigo e naturalmente Antonio Di Pietro. Non è vero, onorevole Vietti?