Fiat vince e resta

La battaglia attorno allo stabilimento di Fiat di Mirafiori è finita con la vittoria del buonsenso e della ragione.I sì alle nuove regole del lavoro, che consentiranno al gruppo automobilistico di avvalersi di standard produttivi all'altezza dei concorrenti più agguerriti, hanno superato il 54%. Una vittoria che motiva l'ad Sergio Marchionne. Che non ha incassato il plebiscito atteso ma, almeno per ora visto che è stato superato il 51% dei favorevoli, non lascia l'Italia. Gongola la Fiom, l'ala più radicale della Cgil, che rivendica il valore di quel 46% di operai che non hanno ceduto al ricatto occupazionale. Mentre la leader della Cgil, Susanna Camusso, riscopre i linguaggi operaisti che fanno tanto anni '70. Con il voto «viene negato il ritorno del modello autoritario delle fabbriche-caserme» ha detto la segretaria della confederazione di Corso Italia. Difficile immaginare cosa avrebbe detto ai suoi iscritti se i no fossero stati la maggioranza, e se il Lingotto avesse deciso di produrre altrove. Così non è stato. In cuor loro anche gli irriducibili saranno contenti di aver dimostrato compattezza e orgoglio di classe, e probabilmente non dispiacerà loro il trovarsi in busta paga un aumento di 3600 euro lordi l'anno. L'ideologia non paga a fine mese soprattutto quando ci si confronta con un mondo globale che si muove con ritmi e logiche di competizione che non contemplano il protezionismo e i sistemi chiusi. Marchionne ha insistito sempre su questo punto. Lui, manager internazionale, e con visione omnicomprensiva dei mercati ha condizionato un investimento di un miliardo di euro a Mirafiori al ripristino di uno standard minimo di livelli produttivi. A tutti gli operai e gli impiegati (a questi ultimi si deve in massima parte il ribaltamento del risultato che giovedì notte dava inizialmente vincente il no) che gli hanno dato fiducia l'ad del Lingotto esprime il ringraziamento per «il coraggio di compiere un passo avanti contro l'immobilismo». Si tratta per il manager di una «svolta storica» e il suo auspicio ora è che chi ha votato no, «messe da parte le ideologie e i preconcetti, prenda coscienza dell'importanza dell'accordo per salvaguardare le prospettive di tutti i lavoratori». La parola d'ordine in azienda è comunque quella di abbassare i toni. «Bisogna archiviare le polemiche e le contrapposizioni, affrontando le sfide che abbiamo davanti in modo costruttivo» dice il presidente della Fiat, John Elkann che ribadisce «il pieno e convinto sostegno» della famiglia al piano.   «Sono grato - afferma - a chi ha avuto fiducia nel futuro e nella Fiat: la loro scelta apre nuove prospettive per tutte le donne e gli uomini che lavorano in fabbrica a Mirafiori. Ha prevalso la volontà di essere ancora in gioco: dimostreremo che in Italia è ancora possibile costruire grandi automobili capaci di farsi apprezzare nel mondo». Il primo tempo della pattita di Mirafiori si è comunque chiuso. Il secondo tempo, quello della realizzazione degli investimenti, non sarà comunque facile. Anche la politica si è fatta avanti. «Ora si rispettino gli impegni sull'investimento» chiedono il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi e il ministro dell'Interno, Roberto Maroni. La Fiom però non demorde. Per il segretario generale, Maurizio Landini, sarebbe «un atto di saggezza riaprire una trattativa». Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, chiede di rispettare l'esito del referendum, ma anche il disagio degli operai. Ora è il momento della riflessione e della riappacificazione. Ci prova il vescovo di Torino, Cesare Nosiglia, che si è dettto disponibile a celebrare una Messa della riconciliazione e del dialogo.