Vendola contestato ai cancelli di Mirafiori
Nel fantastico mondo di Nichi, le contestazioni non esistono. Almeno non quelle riservate a lui. Per il presidente della Puglia proprio non è pensabile che un leader «comunista» si presenti ai cancelli di una fabbrica per abbracciare e condividere - almeno secondo la sua visione del mondo - le proteste dei "poveri" operai, bistrattati dall'odiato capitalista e che gli stessi operai, invece di guardare a lui come fosse il salvatore della Patria, lo accolgano in malo modo. Invece è andata proprio così. Vendola arriva a Mirafiori in mattinata e un gruppo di militanti della Fismic inizia a fischiarlo. «Vattene, che il comunismo è finito» gli urlano davanti a fotografi e telecamere operai e rappresentanti dell'organizzazione sindacale autonoma che rappresenta i lavoratori dipendenti dell'industria e dei servizi, i pensionati, i disoccupati ed i precari. Poi polemicamente mostrano al leader di Sel una copia di una pagina de Il Giornale il cui titolo recita: «Sorpresa, Vendola a Bari fa il Marchionne». È troppo. Tra una decina di attivisti e altrettanti sostenitori di Vendola scoppia il caos: volano insulti, minacce e qualche sputo. «Siete dei servi, dei consulenti dei padroni», gridano alcuni militanti della Fiom ai rappresentanti della Uilm. «Comunisti», rispondono. Si sfiora la rissa. Lui, Vendola è circondato da una folla di telecamere e giornalisti. Sta facendo il suo lavoro, dichiarazione dopo dichiarazione. Flash dopo flash. Non si accorge di nulla. «Credo che abbiano litigato con gli altri delegati, non ho avuto alcuna contestazione, non li ho incontrati proprio», spiega con la sufficienza di sempre. «Poverini - aggiunge - hanno preso l'articolo del quotidiano della famiglia Berlusconi, ma Il Giornale arriva con molto ritardo perché i giornali pugliesi sono pieni dell'accordo strategico tra il Presidente della Regione Puglia con Cgil, Cisl e Uil sulle questioni fondamentali del lavoro e dei diritti sociali». «Poverini», loro - operai come gli altri - per Nichi non fanno certo parte «dell'Italia migliore». Il responsabile di quanto accaduto - come di tutto quanto il resto - è, e non poteva essere altrimenti, Sergio Marchionne: «La Fiat ha paura che i lavoratori leggano il contratto - spiega - Ho percepito la paura dell'azienda che ha sentito il bisogno di ordinare al proprio sindacato giallo una contestazione (ma se non c'era stata nessuna contestazione, ndr) a uso e consumo dei mass media». C'è di più. «Ho anche percepito - aggiunge - un tratto in comune tra lavoratori propensi al "no" e quelli per il "sì": una mescolanza di rabbia e dolore e la sensazione che la condizione di vita sul lavoro peggiori continuamente. Un referendum come questo è una porcata, per usare la celebre espressione di Calderoli». Il leader di Sel se la prende poi con Berlusconi: «Bisognerebbe denunciare il presidente del Consiglio per alto tradimento. Il Governo - attacca riferendosi al discorso pro Fiat fatto dal Cav a Berlino - dovrebbe essere arbitro nel gioco degli interessi sociali contrapposti, invece ha fatto il dodicesimo giocatore, il più pesante, da una parte, che non è il sistema delle imprese, ma di Marchionne. E gioca fino al punto - conclude - che nel momento in cui Marchionne insulta, lui conferma che se vincono i "no", le imprese lasceranno l'Italia». Per Vendola arriva anche il momento giusto per una frecciatina agli "amici" democratici. «Qualcuno nel Pd è più pronto a bacchettare me piuttosto che gli altri: perché è un errore venire davanti ai cancelli di Mirafiori? Credo che sia sbagliato piuttosto non venire di fronte a Mirafiori», dice rispondendo all'attacco di Massimo D'Alema che lo aveva criticato per la scelta di presentarsi davanti alla Fiat. Secondo un sondaggio Demopolis il 43% degli elettori che si collocano nell'area del centrosinistra vorrebbe Vendola alla guida della coalizione. Il 38% di loro, invece, si affiderebbe a Bersani. Che stavolta abbia capito tutto il fantastico mondo di Nichi?