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Nel segno di Berlusconne

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Sergio Marchionne e Silvio Berlusconi

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Nel caso in cui il referendum a Mirafiori bocciasse l'intesa raggiunta «le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri Paesi». Berlusconi usa uno scenario internazionale per mandare un messaggio chiaro di sostegno al piano dell'ad della Fiat Marchionne e di bocciatura della linea della Fiom abbracciata anche da una parte del Pd. Il premier parla dell'appuntamento del referendum, che si terrà oggi e domani, durante la conferenza stampa congiunta con il cancelliere tedesco Angela Merkel dopo il vertice italo-tedesco. Non è una scelta casuale. La Fiat a seguito dell'accordo con Chrysler è sempre più un'impresa di respiro internazionale e quindi le sue vicende non interessano solo l'Italia. Le parole di Berlusconi hanno scatenato la reazione della Cgil e del Pd. Il segretario di largo del Nazareno, Pier Luigi Bersani, è partito a testa bassa: «È una vergogna sentire il presidente del Consiglio dire che la Fiat fa bene ad andare all'estero. Lui non se ne accorge perché è miliardario ma noi lo paghiamo, uno stipendio che a lui gli sembrerà misero, per occuparsi dell'Italia e non far andare via le aziende». Scatenata anche il segretario della Cgil, Susanna Camusso: «Il premier sta facendo una gara con l'amministratore delegato della Fiat tra chi fa più danno al nostro Paese. Se questa è la sua idea del Paese è meglio che se ne vada. Non c'è presidente del Consiglio che non sappia che prima vengono le condizioni del lavoro del suo Paese».   Intanto a Mirafiori ieri è scoppiata l'ennesima polemica tra la Fiom e l'azienda. Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil ha accusato il Lingotto di «fare sindacato», ovvero di aver interrotto la produzione dello stabilimento torinese per spiegare ai lavoratori i termini dell'intesa siglata a Natale con Fim, Uilm, Fismic e Quadri. Una scelta, hanno però subito fatto notare dalla Fiat, che rientra pienamente nelle prerogative dell'azienda. I dirigenti dell'azienda avevano incontrato in mattinata i lavoratori delle carrozzerie a gruppi di circa 40 persone per spiegare l'intesa. Tanto è bastato per rinfocolare la polemica. Per Giorgio Airaudo, segretario nazionale e responsabile del settore auto della Fiom-Cgil, invece, «la Fiat sta facendo le sue assemblee e nel silenzio dei sindacati firmatari, ha assunto non solo la guida diretta del fronte del sì, ma addirittura l'iniziativa di sostituirsi ai sindacati stessi». A poche ore dall'avvio delle operazioni di voto, la tensione ai cancelli di Mirafiori si tagliava con l'accetta. Vendola è stato duramente contestato e alcuni delegati della Fim sono stati aggrediti verbalmente mentre facevano volantinaggio. E tornano le scritte intimidatorie. L'inequivocabile stella a cinque punte, frasi ingiuriose e mura imbrattate da vernice gialla sono apparse a Napoli nella sede della Uil, successivamente rivendicati su un sito internet da sedicenti «Studenti Federico II». Analoghi episodi a Roma nella sede della Uilm, rivendicati dal Collettivo Militante. Intanto si allarga l'impegno dei sostenitori del sì all'accordo. Il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni si è affidato a Youtube per dire che con il voto positivo ci saranno migliori prospettive per la Fiat e per il Paese e più soldi in busta paga per i lavoratori. È intervenuto per il sì al referendum anche il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi che ha sottolineato che i lavoratori «non perdono nulla ma anzi ci guadagnano». Sacconi ha anche messo in evidenza che «le tensioni che accompagnano gli investimenti avviati a Pomigliano e ipotizzati a Torino possono condurre qualcuno a tradurre la violenza verbale in violenza materiale». Si sta creando un problema «di ordine pubblico a Napoli» sui temi del lavoro e la vicenda Fiat potrebbe fare da detonatore. Il ministro ha ribadito che a Mirafiori «la posta in gioco è molto importante. Nel caso di un rifiuto Torino perderebbe non solo una grande realtà produttiva, ma in quella città verrebbe meno un cuore pulsante della filiera dell'automobile». Sacconi, parlando alla Camera, ha ricordato che il Governo ha cercato di «favorire il dialogo tra le parti detassando il salario legato alla maggiore produttività».

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