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Il commento

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Epure il cinema (e Zalone) visto da Nichi. Se come dicevano i latini repetita iuvant, il presidente della Regione Puglia Vendola pare aver appreso bene il precetto tanto che a forza di Nichi qui, Nichi là, potremmo parlare di Nichilismo con la N maiuscola e lasciamo stare, per una volta, la filosofia del passato. Al cinema, per esempio, il Nichi - che si muove attento ai media ed alla comunicazione televisiva (nel 2011 è già stato ospite da Fabio Fazio a «Che tempo che fa» mentre nel 2010 aveva letto una lista - sempre da Fazio, a Vieni via con me - con tutti i termini con cui vengono definiti gli omosessuali) - sceglie Checco Zalone, pugliese come lui, ed autore del film di strasuccesso «Che bella giornata». «Rappresenta - sostiene Vendola - un ritorno ad una comicità diversa, ad un'articolazione dei verbi sorridere, ridere e pensare». Insomma, sì, nel solco del dire, fare, baciare, lettera e testamento che giocavamo da piccoli, quando ancora la televisione non aveva fatto scomparire le lucciole dei giochi semplici per lasciar posto a tutto quel che è video. «Il suo successo (di Zalone, ndr) - prosegue Vendola - riflette il fatto che la comicità come trionfo del plebeismo piccolo borghese forse è al capolinea. Quella che ha regolato i flussi di produzione per molti anni con eccessi di volgarità gratuita e la celebrazione del peggio dell'italianità». Così, mentre Zalone sale, sale, sale negli incassi segno che l'Italia, paese socialmente composto da piccolo e medio borghesi, gradisce il film, Vendola spiega che il trionfo di Checco è una spia della crisi del plebeismo. A parte che si tratta di intenderci su cosa sia il plebeismo se non ciò che riguarda la plebe, quindi il popolo, quello che colpisce di più nell'analisi vendoliana della cinematografia di Zalone è la spiegazione del successo come antidoto alla volgarità. «Vaste programme», avrebbe detto il generale De Gaulle, anche per uno bravo come Checco Zalone. Nella narrazione vendoliana, poi, a parte Zalone, uno spazio lo trova sovente il territorio. Così, pochi giorni fa, alla presentazione romana della nuova edizione del «Bifest-Bari international film & tv festival» (che si svolgerà dal 22 al 29 gennaio), Nichi ha detto: il Bifest, «riflette un territorio fiero della propria storia ma lontano dal localismo leghista anche violento, perché felice di incontrare il resto del mondo. La malattia di un paese ignorante è il trionfo delle piccole patrie». Sarà, ma ieri il Sole 24 ore, giornale della Confindustria, titolava in prima pagina: «Salento libero e la voglia di secessione contagia il Sud» spiegando che «il comitato che punta all'indipendenza da Bari ha raccolto il sì di 64 comuni su 146 per una consultazione popolare». Un referendum, insomma, come quello per Mirafiori, a Torino, perché - come diceva Lino Banfi (in uno dei suoi tanti film comici in barese) al fidanzato antipatico della figlia: «È un fatto di pelle». «Una questione epidermica?», replicava il malcapitato. «No sottolineava Banfi - di rottura di...pelle».

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