Renzi scuote Bersani: sto con Torino
Nonpotendo fare una scelta netta che decreterebbe la rottura con la Cgil, il partito di Bersani la butta nella polemica con Palazzo Chigi colpevole «di lasciar soli i lavoratori e il sindacato». Parola del segretario Bersani che nega scontri interni al Pd e torna a chiedere «nuove regole di partecipazione perchè i contratti siano esigibili, ma allo stesso tempo chi dissente abbia diritto di rappresentanza». Quanto a Marchionne, il leader del Pd evita di intervenire sul tema della modernizzazione delle relazioni industriali rilanciato dalla manager torinese e si limita a ironizzare: «Marchionne saprà misurare le auto, ma le parole no». Poi torna sui lati «oscuri» del piano industriale: «Dove spende quei 20miliardi? E la ricerca Fiat?» Intanto c'è chi nel Pd non trova niente di meglio che chiedere a Marchionne di venire in Parlamento a riferire sulle strategie, come se la Fiat fosse un'azienda pubblica. «È inammissibile che il Parlamento sia tenuto fuori dalla vicenda Fiat» tuona Andrea Lulli, capogruppo Pd in commissione Attività produttive della Camera. Se Bersani si muove con equilibrismo, il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, lo spiazza e prende una posizione netta: «Io sto dalla parte di Marchionne, dalla parte di chi sta investendo sul futuro delle aziende, quando tutte le aziende chiudono, è un momento in cui bisogna cercare di tenere aperte le fabbriche». E va oltre. Invita a riconoscere che «è la prima volta nella sua storia che la Fiat, anzichè chiedere i soldi degli italiani con la cassa integrazione, prova a mettere dei quattrini per agganciare alla locomotiva americana Mirafiori e anche la struttura italiana». Rivolgendosi al partito chiede un volo di realismo: «Senza se e senza ma stiamo dalla parte di chi crea lavoro e ricchezza. Poi, naturalmente, rispettiamo i diritti dei lavoratori, ma che siano lavoratori, e non cassintegrati». Renzi prende di petto Bersani e annuncia che andrà alla Direzione fissata per domani e «speriamo che Bersani non chiacchieri di aria fritta ma dei problemi degli italiani». Il segretario del Pd piemontese, Gianfranco Morgando, è meno secco ma ugualmente auspica un risultato positivo per il referendum. Come Bersani anche il capogruppo in Commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, se la prende con il governo. «Se dovesse vincere il no al referendum per Mirafiori, cosa che noi non auspichiamo, e se Marchionne tenesse fede al suo ultimatum, il governo non sarebbe estraneo e anzi sarebbe corresponsabile di un simile esito». Secondo l'ex ministro del Lavoro «siamo di fronte ad un passaggio di grandissima importanza in cui l'esecutivo si è distinto negativamente, disinteressandosi di trovare soluzioni condivise e viceversa accendendo gli animi e inneggiando alla divisione sindacale». L.D.P.