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Napolitano citi Gramsci sull'Unità d'Italia

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

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Gentile Presidente vedo che in questi giorni il principale dei suoi molti impegni riguarda le celebrazioni del 150° compleanno dell'Italia Una. Immagino anche che le piacerebbe onorarlo pronunciando qualche motto di portata storica. Sospetto infine che ella abbia deciso di evitare a tutti i costi di offuscare lo stile splendidamente agiografico dei suoi discorsi sull'argomento infilandovi qualche allusione al fatto a lei ben noto che il Risorgimento, per il nostro Mezzogiorno, fu una gloriosa disgrazia. So bene che questo proposito nasce dal desiderio, potentissimo anche in lei come in quasi tutti gli alunni del vecchio Pci, di cancellare le tracce dell'antico “patriottismo di partito”, che impose a lungo ai suoi devoti di vedere nell'Urss la loro vera patria, rilanciandolo mediante l'equiparazione della storia del partito con quella dell'Italia.  Non posso, tuttavia, sottrarmi al dovere di ricordarle che a maledire lo stato che nacque dal Risorgimento non furono soltanto molti parrucconi reazionari devoti alla causa borbonica ma anche alcune grosse menti di sinistra. Del resto suppongo che lei, che da giovanetto lesse e rilesse devotamente gli scritti dei critici più severi del nostro Risorgimento, non abbia dimenticato che alcune delle più aspre furono scritte da autori di schietta fede comunista e socialista. Mi permetta tuttavia di ricordarle almeno due passi di un autore al di sopra di ogni sospetto di borbonismo conservatore: il suo a lei sempre carissimo (immagino) Antonio Gramsci. «Lo stato italiano – dice il primo – è stato una feroce dittatura che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale, squartato, fucilato, seppellito vivi poveri contadini che scrittori salatiati hanno infamato col marchio di briganti». «L'unità d'Italia – afferma il secondo – non è avvenuta su basi di uguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno, nel rapporto territoriale città-campagna. Cioè, il Nord concretamente era una “piovra” che si è arricchita a spese del Sud e il suo incremento economico-industriale è stato in rapporto diretto con l'impoverimento dell'economia e dell'agricoltura meridionale. L'Italia settentrionale ha soggiogato l'Italia meridionale e le isole, riducendole a colonie di sfruttamento”» Mi permetta inoltre di aggiungere a questi giudizi gramsciani quelli non meno spietati di altri tre storici progressisti: «Se dall'unità d'Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata. E' caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone» (Gaetano Salvemini). «L'"impeto nazionale" costringe gli italiani a rinunciare a una vera rivoluzione: gridando "Italia, Italia", si finisce col costringere le masse depauperate del popolo italiano a fuggire come "emigranti" dall'"Italia libera"» (Nicola Chiaromonte). «Quando i piemontesi entrarono in territorio napoletano, una delle prime azioni del generale Cialdini fu di far fucilare sul posto ogni contadino che fosse trovato in possesso di armi; era una spietata dichiarazione di guerra contro gente che non aveva nessun altro mezzo di difesa» (Denis Mack Smith). Ora però la prego di non cedere alla tentazione di infilare questi passi nei suoi prossimi discorsi sulla necessità di festeggiare con animo fiero e lieto il genetliaco della nostra patria. Ella sa meglio di me che se osasse farlo rischierebbe di ottenere un successo fragoroso. E l'idea di un simile trionfo non può non ripugnare alla sua natura sobria e cauta.

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