Quella "profezia" superballa di Enrico
Dunque l’anima di Enrico Berlinguer potrà presto vantarsi di annoverare fra i suoi ammiratori anche il ministro Tremonti. Ad autorizzarla a gloriarsi di questa conquista ha provveduto lo stesso Tremonti accettando di far parte del terzetto di sapienti (gli altri due sono Emanuele Macaluso e Luigi Manconi) che il prossimo 20 gennaio, in una sala romana, col patrocinio della Provincia di Roma, celebrerà l'opera berlingueriana. La cerimonia - consistendo nella presentazione di un libro, intitolato «Sull'austerità», in cui sono stati raccolti i famosi discorsi che Berlinguer tenne nel '77 su quel tema - si preannuncia tutt'altro che allegra. Eppure potrebbe ispirare dei quesiti abbastanza spassosi. Per esempio questo: quale delle tante indimenticabili imprese di quel sommo sassarese potrà sembrare al ministro Tremonti degna di essere evocata ed esaltata. L'invenzione del partito di Lotta e di Governo? Il lancio della Questione Morale? Il celebre invito rivolto alle fanciulle italiane di prendere a loro modello congiuntamente gli opposti eroismi di Maria Goretti e di Irma Bandiera? Il miraggio del Compromesso Storico? L'esaltazione del volto punitivo della politica? La fiaba dallo strappo dall'Urss? L'apologia dell'Austerità? Tutto lascia sospettare che egli trovi proprio quest'ultima particolarmente attraente. Ma la più memorabile delle imprese di Berlinguer fu invece una molto più abbagliante profezia. Che ovviamente non poteva non riguardare la missione dei comunisti. Problema che egli affrontò e risolse con una frase di cinquantaquattro parole. Frase che esige, data la sua concisione, una citazione letterale: «I comunisti, che si sentono gli eredi, i continuatori e gli interpreti di tutto ciò che di più alto è stato accumulato nei secoli dall'umanità, sono i più tenaci, anche se non i soli, messaggeri e costruttori dell'unità del mondo; vale a dire l'avanguardia consapevole del grande movimento che darà inizio al Regno della Libertà». Sono, come ognun vede, parole e concetti perfettamente conformi all'aspetto, al gusto e allo stile di un uomo che fu giustamente lodato soprattutto per la sua sobria e dimessa figura, la serietà e mestizia del suo volto, la modestia e verecondia dei suoi modi, i suoi parchi e frugali costumi, il suo stesso eloquio disadorno e audacemente uggioso. La frase testé riportata quell'uomo umile e schivo la pronunciò esattamente cinque lustri fa, nel luglio del '79, davanti a tutti i membri del Comitato Centrale del suo glorioso partito. Nessuno dei quali, dopo averne ascoltato la lenta scansione in religioso silenzio, sentì ovviamente il bisogno di accoglierla con un'allegra risata. Sentirono anzi quello di approvarla con un entusiastico applauso. E quando, la mattina dopo, apparve riprodotta sulle colonne dell'Unità, infiammò di orgoglio un'intera armata di compagni. E quelli che più s'infiammarono furono i membri, a quell'epoca ancora giovanetti, di quella scelta covata di giovani leader che più tardi si sarebbero chiamati da se stessi «I ragazzi di Berlinguer». Quella sentenza, infatti, li autorizzava a proclamarsi figli di un popolo uscito direttamente dai lombi di Omero e Dante, Mosé e Platone, Budda e Confucio, Zoroastro e Gesù, San Francesco e santa Chiara, Giotto e Leonardo, Michelangelo e santa Teresa, Shakespeare e Bach, Mozart e Goethe, Einstein e Proust; nonché, ça va san dire, dello stesso Enrico Berlinguer. Il quale, in quanto magister e guida di quel medesimo popolo, poteva a sua volta legittimamente considerare se stesso la reincarnazione vivente di tutti i santi, i profeti, gli eroi, i pensatori, gli artisti e i poeti che dal principio dei tempi fino ai giorni nostri hanno fatto grande l'umanità. Va infine da sé che da quella medesima frase tutto quel vasto popolo e la sua indispensabile guida arguirono che quel loro illustre pedigree comportava per ciascuno di loro il dovere di non deludere tutti quei loro diretti antenati affrettandosi a partorire il grande evento profetato dal loro Messia: l'unificazione di tutti i popoli del pianeta unitamente alla fondazione del regno della Libertà. Di questa profezia nessuno da un pezzo parla più. Eppure nessun altro oracolo di quel compianto maestro potrebbe assicurargli un primato veramente incontestabile: quello di aver scodellato una delle più ridicole balle di tutti i tempi. Ragion per cui, ai molti titoli che gli sono stati già attribuiti, converrebbe aggiungere quello di Gran Pallonaro. Oserà farlo il ministro Tremonti?